Le specificità delle rivolte arabe


Eric Salerno


Un’analisi che tiene conto delle differenze: paesi arabi, paesi islamici, paesi con la medesima lingua e cultura di base, eppure così diversi.


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Le specificità delle rivolte arabe

Soltanto gli storici forse, che sanno come sono nati gli Stati mediorientali, sono capaci di capire le differenze tra, per esempio, la rivolta popolare in Egitto e quella in Siria. Paesi arabi, paesi islamici, paesi con la medesima lingua e cultura di base, eppure così diversi. L’Egitto ha una storia antica migliaia di anni. Una nazione-stato con radici profonde. Un’identità, dunque, ben diversa da quella della Siria, o dello Yemen o della Libia dove confini artificialmente tracciati dalle potenze coloniali, hanno messo insieme, sotto il medesimo tetto, tribù, clan, religioni e sette diverse tra di loro e sovente antagoniste.
La Cirenaica è ben diversa dalla Tripolitania. E gli abitanti di queste due province nutrono ancora oggi un profondo disprezzo per i “neri” della provincia meridionale del Fezzan. Gheddafi ha tentato di unificarli sotto un’unica bandiera “rivoluzionaria”, ma con poco successo. In Siria, il compito di definire l’identità statale fu affidato al partito socialista Baath, ma la gestione tenuta saldamente nelle mani di Hafez el Assad e della sua tribù non è stata unificante. Il socialismo ideale delle prime ore è morto da anni, soffocato dalla repressione. Damasco è la capitale di uno stato di polizia tra i più consolidati in cui la libertà di stampa è inesistente e quelle personali ridotte al minimo. Bashir el Assad ha eredito dal padre un regime settario: la sua famiglia appartiene agli alawiti, una setta sciita minoritaria che può contare su una classe dirigente “laica” cresciuta nella condivisione del potere e fermamente arroccata nella difesa di privilegi e regime.
La rivolta cominciata a Deraa sorprende soltanto perché la gente del Sud della Siria è considerata tranquilla e distante dalle spinte confessionali dei Fratelli musulmani che nella città di Hama pagarono con un massacro (diecimila i morti) la loro sfida ad Assad padre. Il nazionalismo folle di Hafez el Assad è un fallimento con l’estendersi dei moti da Deraa verso il resto del paese e ci si chiede fino a dove arriveranno. Bashir el Assad ha studiato in Occidente e nel momento in cui i pretoriani del regime lo fecero accomodare sulla poltrona del padre appena morto, sembrava convinto e capace di modernizzare paese e sistema. In qualche modo, quel momento ricorda le speranze che molti avevano riposto in Saif al Islam, il figlio “moderato” di Gheddafi. Purtroppo, Bashir fu indotto a sottostare al gruppo di potere ereditato, come “consiglieri” di corte, assieme alla poltrona. Appare difficile, oggi, pensare che il regime sclerotico possa sopravvivere. Liberalizzazione, l’eventuale fine dello stato d’emergenza, un nuovo governo e promesse di riforme tardive potrebbero essere insufficienti. Se così fosse, come bisognerà definire la protesta popolare? Più che una rivolta unitaria contro il regime, si rischia la guerra civile: gruppi “tribali” contro gli alawiti sotto i quali hanno sofferto. E’ l’ipotesi probabile per lo Yemen, dove già forze armate e popolazione sono spaccate in due e si ipotizza se non la guerra civile, la divisione in due del paese. Una situazione non dissimile, appunto, alla Libia. E che potrebbe ripetersi in Bahrain e anche in Arabia Saudita. A distanza di un secolo, lontano dai ricordi di Lawrence d’Arabia, le vecchie frontiere uscite dal colonialismo rischiano di gettare l’intera regione in un caos non dissimile dalla recente balcanizzazione dei Balcani. E a costringere le forze preponderanti dell’Occidente – Stati Uniti insieme con le vecchie potenze coloniali – a intervenire per riparare ai danni del loro antico progetto studiato a tavolino per “dividere e controllare”.

Fonte: Lettera22, Il Messaggero

27 marzo 2011

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