Le orme dei giovani sulla strada della scuola
Davide Rondoni
Promemoria per gli addetti ai lavori. I bambini, i ragazzi. Bisogna guardare loro. Quel che ferve nel loro sguardo, e si movimenta nei loro cuori e nelle menti, atletiche e svelte come lepri o cerbiatti.
I bambini, i ragazzi. Bisogna guardare loro. Innanzitutto guardare loro. Quel che ferve nel loro sguardo, e si movimenta nei loro cuori e nelle menti, atletiche e svelte come lepri o cerbiatti. Sì, occorre guardare questi nostri cerbiatti. Per valutare l’inizio della scuola, per vedere cosa fare, per capire cosa c’è di buono e cosa da correggere. Occorre guardare loro, l’essenziale. Lo scopo della scuola. Che è venire incontro, accogliere, sostenere, far crescere e nutrire quella innata curiosità che anima i nostri cerbiatti, i nostri figli, con i loro capelli di luce, gli occhi vivaci.
Ci sono, come ogni anno, annunci e problemi. La signora Ministro ha affrontato con gagliarda e dunque controversa volontà riformatrice sia l’Università che la Scuola. Una partita personale e politica su cui sta scommettendo molto. E mentre in Università le riforme si sono accavallate e ora se ne aspetta una un po’ ordinata e di prospettiva, d’altra parte nella Scuola molti interessi corporativi, molti problemi lasciati per strada, molte iniziative frammentate rendono difficile da sempre un vero disegno riformatore. La situazione dei precari, l’apertura di nuovi posti e altri irrisolti nodi (come quello del trattamento riservato alle scuole pubbliche non statali) rende anche quest’anno il panorama dell’avvio confuso e non privo di ombre. Speriamo che prevalga in tutte le parti la buona volontà di salvaguardare l’essenziale. Cioè il servizio da rendere a loro, i nostri cerbiatti, o come dice un’antica storia delle foreste, i nostri "bambini giaguaro", figure che intervengono a rinnovare il mondo. Sono loro che dobbiamo tutti servire, senza cedere alla faziosa difesa di interessi particolari, senza vedere nella scuola il luogo del confronto politico partitico, o della difesa di corporativismi che spesso han bloccato e bloccano l’Italia.
In questo inizio, chi userà della scuola per terreno di scontri, di difese di rendite di posizione, di consenso politico e altre piccinerie, vorrei che fosse condannato ad andare davanti al plotone di esecuzione. Un plotone immenso, composto dai nostri bambini e ragazzi, che lo fissassero al muro (ministro o sindacalista, docente o amministrativo che sia). E con le armi della loro infanzia e giovinezza eseguissero la condanna: pistole ad acqua, elastici, schioppi di legno o mitragliette con i suoni elettronici d’ultima generazione, qualche pernacchietta e altri lazzi e battute. Sono sicuro che a far le cose come si deve, il plotone coi cappellini colorati, gli zaini (sempre troppo pesanti), le chewin-gum e tutto il resto starebbe schierato dalla mattina alla sera. Perché ci sono un sacco di furbastri che campano sulla e nella scuola e però dei ragazzi gliene interessa assai meno del giusto.
Ma non c’è reato più grave oggi in Italia che trattare male la scuola. Che usarla per altro motivo che non sia servire i nostri cerbiatti. Lo chiamo reato, perché fa quasi più effetto, in quest’era giudiziaria. Ma si dovrebbe chiamare offesa, ingiustizia, peccato, ignominia tanta è la gravità. Guai a chi per vanagloria o per protesta o per acquiescenza usasse e trattasse senza il dovuto onore questi piccoli nostri figli. Anche là dove le condizioni non sono buone, non si esacerbi il tutto, ma si faccia in modo che i bambini e i ragazzi non patiscano maggiore disagio.
Non si guardi ad altri interessi. Non si sfrutti il loro nome per richieste e pretese, per quanto comprensibili. Non si faccia carriera sulla loro pelle. L’inizio della scuola è un’occasione per guardarci allo specchio e dirci: stiamo servendo al meglio i nostri cerbiatti, i nostri figli? O meritiamo lo strambo, allegro e però terribile plotone d’esecuzione dei loro sguardi che ci mettono al muro della nostra responsabilità? Vale per il Ministro, e per ogni adulto che ha una funzione nella scuola.
Fonte: Avvenire
3 settembre 2010