Le minacce nel lager. “Se ci provate di nuovo possiamo ammazzarvi”


Umberto De Giovannangeli - L'Unità


Dal campo di detenzione libico di Brak il racconto delle torture psicologiche subite dai prigionieri eritrei. L’ottimismo dell’inviata di Frattini, Margherita Boniver. “Prevarrà l’equilibrio tante volte dimostrato dalle autorità libiche”.


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Le minacce nel lager. "Se ci provate di nuovo possiamo ammazzarvi"

Potete ritenervi fortunati. Se ci provate di nuovo, se osate protestare, vi ammazziamo legalmente. Per noi non è un problema…». Il responsabile del lager di Brak li ha riuniti nella notte. Gli aguzzini in divisa hanno fatto la conta, e visto che c’erano hanno ripreso a manganellarli. Poi li hanno condotti in una sala attigua alla stanzetta fetida in cui da tre giorni sono rinchiusi in novanta. Non bastano le percosse. Non bastano il cibo e l’acqua centellinati, non basta aver negato qualsiasi cura medica a diciotto di loro feriti. Le torture sono anche psicologiche. E anch’esse lasciano il segno. Cronaca da un inferno. L’inferno del carcere di Brak, nel Sud della Libia, dove sono stati deportati oltre 200 eritrei. Fortunati. Lo ripete il capo del lager. con un ghigno che fa paura a chi è già attanagliato dal terrore. . Fortunati per non essere stati fatti fuori subito. La loro colpa è aver osato ribellarsi. E chi lo fa, nella Libia del «caro amico Muammar» (Berlusconi dixit) puoi finire, dimenticato, in un carcere speciale, dove puoi morire senza che nessuno lo venga a sapere. Chi ha potuto parlare con qualcuno di loro, riferendolo a l’Unità, racconta di una situazione che resta drammatica. Il cibo scarseggia. Così l’acqua. Nessuna assistenza medica per i feriti. Privati di ogni cosa, nudi, senza neanche una coperta per coprirsi. Le notizie si accavallano. Alcune sono drammatiche: tre feriti sono stati portati via. Di loro non si ha più notizia dall’altra notte. C’è chi spera che siano stati portati in ospedale. C’è chi tema che siano morti. «Se vi va bene, tra qualche giorno vi rimanderemo da dove siete venuti…», ripete il capo del lager. Deportati in Eritrea, da dove avevano cercato di fuggire. Se vi va bene…E se va male, finirete in un carcere speciale, perché, ripete il capo del lager, «voi siete un pericolo per la sicurezza nazionale» della Libia. Un pericolo da cancellare. Distruggere. con ogni mezzo. Salvarli è una corsa contro il tempo. Una corsa ad ostacoli. «Rispedirci in Eritrea – dice uno di loro – è come condannarci a morte. Se vogliono deportarci, che sia fatto in un Paese terzo, disposto ad accoglierci». Questo Paese potrebbe, dovrebbe essere l’Italia. È una speranza. Che non va lasciata cadere nel vuoto. Il «vuoto» che rischia di inghiottire 245 vite umane. «Il governo italiano ha attivato tutti i canali utili» affinché la vicenda dei detenuti eritrei in Libia «si concluda positivamente», assicura Margherita Boniver, presidente del Comitato Schenghen e inviato speciale per le emergenze umanitarie del ministro Frattini. Ma nel presente dei disperati di Brak la parola «speranza» non esiste. Il presente è un sonno inquieto, spezzato ogni due ore nella notte da agenti della sicurezza libici che irrompono nella stanza, fanno la conta e picchiano. E le cose non sono migliori nel Centro di detenzione di Misratah, dove sono rimasti una parte di loro: 32 uomini, 13 donne, 7 bambini, alcuni dei quali neonati. Don Mussie Zerai – l’infaticabile sacerdote e animatore dell’agenzia Habesha, Ong che si occupa dei migranti africani – è riuscito a raccoglierne la testimonianza: «I nostri cacerieri – raccontano – continuano a picchiarci, a insultarci…Il cibo è poco e quello che ci danno non va bene per i bambini…». Chissà se queste testimonianze riusciranno a incrinare le granitiche certezze di Margherita Boniver: « Siamo certi – afferma l’inviata del ministro Frattini – ha concluso – che ancora una volta prevarrà l'equilibrio e la capacità di gestire situazioni complesse tante volte dimostrati dalle autorità libiche». Di «equilibrio» nel lager di Brak non c’è traccia. E «capacità di gestire situazione complesse» fatica a intravedersi nella vicenda di 245 immigrati eritrei trasferiti a forza da Misratah a Brak – oltre mille chilometri di distanza – ammassati come bestie in 2 container di ferro, in condizioni inumane e degradanti per l'alta temperatura, il sovraffollamento e la mancanza d'aria. «Continuano a picchiarli – riferisce a l’Unità un giovane un eritreo in contatto con alcuni di loro – temono di non sopravvivere». «Ci sono donne e bambini svenuti qua in mezzo…ci manca l’aria», aveva raccontato uno dei deportati al collega Gabiele Del Grande. Donne e bambini. Anche loro sono un «pericolo per la sicurezza» del Colonnello Gheddafi…E sarà per ragioni di sicurezza», che ai 245 immigrati eritrei sono stati portati via gli indumenti, quel poco di denaro che avevano con sé, gli orologi, i cellulari… “Siete fortunati, potevamo ammazzarvi legalmente…Questa è la «legge» che vige nel lager di Brak. Per i disperati senza diritti è un’altra notte di paura. Di non vita…


Fonte: l'Unità

4 luglio 2010

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