Le braccia di Mona. E la violenza sulle donne
Paola Caridi - invisiblearabs.com
Hanno spaccato le braccia a Mona el Tahawy, notissima giornalista con doppia nazionalità, egiziana e americana. 12 ore nel ministero dell’interno egiziano. Pestaggio e molestia sessuale. La storia di Mona, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Beh, questa foto dice già tutto, visto che oggi è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Qualche – per così dire – dettaglio va però aggiunto, perché si capisca meglio non solo chi è la protagonista, ma cosa sta succedendo in Egitto. Nello specifico, nei dintorni di piazza Tahrir. Lei, questa donna bella e giovane, si chiama Mona el Tahawy. In Egitto, soprattutto tra i giovani, è un foto e un nome noti: non solo perché blogga, ma perché è una opinionista stimata, per il pubblico americano. Sì, perché Mona el Tahawy ha un doppio passaporto, egiziano ed americano. E questa doppia nazionalità – l’ha confermato lei stessa – è stata la sua fortuna, per riuscire a essere rilasciata e a non subire un destino peggiore.
Cercate il suo nome su Google, seguitela su twitter. Scoprirete che è una brillante columnist, che ciò che dice non è per nulla scontato. E che è stata, in questi anni, una donna coraggiosa. Anche quando si è trattato di dialogare – lei laica – con gli islamisti. Ebben, Mona el Tahawy era al Cairo, in questi giorni. L’altro ieri sera è stata arrestata. E’ riuscita, attraverso il telefonino di un altro ragazzo arrestato, a far sapere che l’avevano fermata. Poi basta. Twitter, come sempre succede in questi casi, aveva già cominciato il tam tam #freemona. Dopo 12 ore, Mona è ricomparsa. Pestata, molestata sessualmente in maniera pesante, ma senza perdere lo spirito che ha sempre avuto. Motivo per il quale, sempre su twitter, i suoi amici (maschi) commentavano ciò che era accaduto come uno dei guai peggiori per la polizia egiziana. Non sapete quello che vi aspetta. Non potevate fare errore peggiore…
Mona el Tahawy è donna coraggiosa. E sono certa che darà filo da torcere a chi per 12 ore non l’ha solo trattenuta, ma l’ha anche pestata tanto da spaccarle un braccio e una mano, ora ingessati. MOùona el Tahawy è una di quelle che, per fortuna, non si vergogna di raccontare – come ha fatto ieri su twitter – come l’abbiano molestata. Bendata, le hanno cominciato a palpeggiare il seno e, racconta, “non so quante mani abbiano cercato di toccarmi i genitali e infilarsi nei miei pantaloni”. Per il mondo arabo, e allo stesso modo anche per il nostro, è già questo racconto a essere un’arma potente. E un atto di profondo coraggio.
Quello che è successo a Mona è successo a moltissime donne in Egitto, sempre per mano della polizia e dei servizi della Sicurezza dello Stato, la famigerata Amn el Dawla. Una struttura che non è stata epurata in questi dieci mesi e che continua, come si è visto in questi giorni a Tahrir e dintorni, a fare il bello e il cattivo tempo. Lo racconta ‘Ala al Aswani nel suo La Rivoluzione Egiziana, come un mantra. Racconta delle donne violentate di fronte ai propri mariti, padri, figli, nelle stazioni di polizia, perché confessassero reati magari non commessi. Racconta delle molestie per strada, iniziate alla fine del 2005, guarda caso. Proprio quando era iniziata un’altra fase dell’opposizione egiziana. Molestie al Cairo, una città in cui io, personalmente, mi sono sempre sentita più sicura a girare di sera e di notte più di quanto mi sia mai sentita a Roma, dove – in gioventù – sono stata invece rapinata nell’androne di casa.
Mona el Tahawy è una di quelle che non ha alcun timore a denunciare i suoi molestatori, anche se indossano una divisa. Non è, però, la norma. Per una donna coraggiosa come Mona, ce ne sono tante – forse la maggioranza – che questo coraggio non lo trovano. E non è un’accusa nei loro confronti. Ognuna di noi, posta di fronte a questo bivio, se denunciare o meno, dovrebbe fare un bel po’ di training autogeno e di fatica per non cadere nella trappola del “voglio dimenticare, e in fretta”. Il sorriso un poì forzato di Mona el Tahawy, in questa foto messa in rete da uno dei suoi amici, Sandmonkey, dice comunque molto. Dice che si può alzare la testa e far vedere la meschinità altrui. E dice anche che a mandare in rete questa foto è stato un uomo che non è come quei molestatori. Fa parte dello stesso pezzo di umanità a cui appartiene Mona, a cui apparteniamo noi.
Fonte: Invisibearabs.com
25 novembre 2011