L’asso di Netanyahu: colonie al rallentatore
Michele Giorgio, Il Manifesto
A Sharm el Sheikh oggi riparte il dialogo tra israeliani e Anp. Tel Aviv vuole continuare a costruire nei «blocchi», interrompendo la sospensione, che scade il 26 settembre.
A Sharm el Sheikh oggi riparte il dialogo tra israeliani e Anp. Tel Aviv vuole continuare a costruire nei «blocchi», interrompendo la sospensione, che scade il 26 settembre. Se Obama dirà «sì» a Netanyahu, Abu Mazen verrà messo all'angolo: accettare la mossa del «nemico» e fronteggiare l'opposizione interna o far saltare il tavolo delle trattative?
Il premier israeliano: stop a moratoria sugli insediamenti. E Peace Now rivela: nei Territori pronti oltre 10mila alloggi.
Già la chiamano “colonizzazione al rallentatore”. Così è stata etichettata la proposta che Benyamin Netanyahu si accinge a presentare oggi al presidente dell’Autorità palestinese (Anp) Abu Mazen, al Segretario di stato Hillary Clinton e al padrone di casa, il raìs egiziano Hosni Mubarak, nel secondo appuntamento per i colloqui diretti che si svolgerà a Sharm el Sheikh.
Ma di “lento” questa nuova fase di colonizzazione dei territori palestinesi pensata dal premier israeliano non avrà proprio nulla se troveranno conferma i dati e le cifre contenuti nell’ultimo rapporto presentato da Peace Now. Almeno 13mila alloggi destinati a coloni ebrei – ha rivelato l’associazione pacifista israeliana – saranno realizzati nella Cisgiordania occupata non appena il 26 settembre terminerà la “moratoria”, più simbolica che reale, delle nuove costruzioni proclamata dieci mesi fa dal governo di Tel Aviv.
Se è vero che, come Netanyahu ha spiegato ai suoi ministri ultranazionalisti, “Fra 0 e 1 ci sono opzioni intermedie”, allora il primo ministro israeliano ha scelto 1, perché sulla Cisgiordania e Gerusalemme Est (la zona araba della città) si abbatterà una enorme colata di cemento destinata ad affondare subito il negoziato diretto tra Israele e Anp, se Abu Mazen manterrà la promessa fatta di abbandonare il tavolo delle trattative se non verrà prolungata la “moratoria”.
Nel suo rapporto Peace Now spiega che per 2mila alloggi sono pronte le fondamenta e altri 11mila potranno essere realizzati senza ulteriori autorizzazioni da parte delle autorità governative israeliane. Tutte queste costruzioni infatti hanno già ottenuto il via libera dagli organi competenti. E, soprattutto, ben 5mila di queste case sorgeranno in colonie isolate, a ridosso dei centri abitati palestinesi. E non è finita, perché Peace Now rivela che altre 25mila case sono in fase di progettazione e le imprese di costruzione ne attendono solo l’autorizzazione del governo per la loro realizzazione. E se questa è una colonizzazione “al rallentatore” viene spontaneo domandarsi come sarebbe quella a “tutta velocità”.
A Netanyahu non importa molto delle reazioni di Abu Mazen. Sa bene che se il presidente dell’Anp decidesse di lasciare le trattative, verrebbe immediatamente messo sotto accusa da parte degli Stati Uniti e dei governi europei più vicini a Israele (quello Berlusconi in testa) per aver bloccato un negoziato destinato a definire uno “status finale” dei Territori occupati.
Ben più rilevante per il governo israeliano è la risposta di Barack Obama. Un “sì” del presidente Usa alla “colonizzazione al rallentatore” rappresenterebbe il riconoscimento di fatto da parte dell’attuale Amministrazione della “lettera di garanzie” consegnata nel 2004 dall’allora presidente George Bush all’ex premier israeliano Ariel Sharon. Con quel documento Washington riconobbe il diritto di Israele di annettersi le porzioni di Cisgiordania dove sono situati i blocchi di colonie ebraiche. L’area in questione rappresenta circa il 10% del territorio palestinese (senza Gerusalemme Est) e grosso modo è delimitata dal percorso del “muro di separazione” che, entrando in Cisgiordania, già ingloba, di fatto, i blocchi di colonie. Di fronte a ciò emerge il passo falso fatto da Abu Mazen, andato alla trattativa senza garanzie sul comportamento non tanto di Netanyahu, del quale sono note le strategie, ma degli Stati Uniti.
Eppure il piano messo a punto dal premier israeliano non convince i coloni più oltranzisti che nella “colonizzazione al rallentatore” vedono un “cedimento ai palestinesi”. “Se Netanyahu continuerà il congelamento, considereremo ciò come una dichiarazione di guerra, faremo tutto il possibile per rovesciare il primo ministro” ha avvertito Gershon Mesika, capo del cosiddetto Consiglio regionale della Samaria (nord della Cisgiordania).
Schierato con i coloni c’è il ministro delle infrastrutture Uzi Landau, secondo il quale Netanyahu “rischia di perdere credibilità”. Gaza nel frattempo rimane ai margini e i suoi morti quotidiani continuano a non fare notizia. Domenica l’esercito israeliano ha aperto il fuoco “contro uomini che si preparavano a sparare razzi anticarro”. Uccisi tre “terroristi”: il 91enne Ibrahim Abu Said con i due nipoti Ismail Abu Odeh, 20 anni, e Houssam Abu Said, 17 anni. Tutti e tre erano semplici contadini.
Fonte: il Manifesto
14 settembre 2010