L’anno più violento dopo la seconda guerra mondiale
L’Osservatore Romano
Sono stati 414 i conflitti combattuti nel 2013 (venti di questi catalogati come guerre). E’ quanto emerge dal “Barometro” diffuso dall’istituto di Heidelberg per l’indagine sui conflitti internazionali.
Il 2013 è stato, insieme al 2011, l’anno che ha fatto registrare più guerre dopo la seconda guerra mondiale. È questo il dato che emerge dal “Barometro ” diffuso ieri dall’istituto di Heidelberg per l’indagine sui conflitti internazionali.
L’anno scorso ci sono state venti guerre, due in più rispetto al 2012, e più conflitti armati. Alle guerre in Afghanistan, Iraq, Siria e Pakistan (gli scontri nelle regioni tribali) si sono tra le altre aggiunte quelle in Mali e nella Repubblica Centroafricana. Per gli esperti dell’istituto tedesco, inoltre, gli scontri tra le forze del nuovo Governo egiziano e i Fratelli musulmani hanno raggiunto in taluni casi le caratteristiche di una guerra.
Nel suo rapporto annuale, l’istituto ha contato l’anno scorso 414 conflitti in tutto il mondo, nove in più rispetto all’anno precedente. Tra questi, 45 sono stati considerati molto violenti. Venti di questi sono stati catalogati come guerre, mentre i restanti venticinque vengono considerati guerre limitate. Lo studio divide infatti i conflitti in 5 livelli — il più grave dei quali è appunto classificato come guerra — in base a criteri come l’utilizzo della forza militare, le vittime o flussi di profughi e rifugiati. «Nel 2013 il conflitto con il maggior numero di vittime è stato quello combattuto in Siria», ha detto Peter Hachemer, presidente dell’istituto.
Ma moltissime vittime si registrano anche in altri Paesi. Come in Iraq, che ha contato mille morti nel solo mese di agosto. Un numero elevatissimo, passato in realtà sotto silenzio, visto che la guerra che si combatte nel Paese, con le violenze quotidiane tra sciiti e sunniti, non riesce a ottenere l’attenzione dei media.
Così come i tanti conflitti che insanguinano l’Africa, che in verità meriterrebero più attenzione, non fosse altro perché la metà delle situazioni violente classificate come guerre dall’istituto di Heidelberg ha avuto luogo nella regione subsahariana del continente africano: solo in Sudan e nel Sud Sudan sono state registrate cinque situazioni di conflitto che hanno raggiunto il livello più preoccupante, mentre vere e proprie guerre sono state combattute, oltre che nel Mali e nella Repubblica Centroafricana, in Somalia, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo.
Le altre guerre sono state combattute in Medio Oriente (Egitto, Siria, Yemen, Iraq e Afghanistan) e Asia (Pakistan e Filippine con gli scontri tra forze governative e gruppi secessionisti islamici). Per quanto riguarda il continente americano, l’unica Nazione presente nella lista delle situazioni più gravi è il Messico. Il rapporto si sofferma infatti sul confronto estremamente violento in atto nel Paese tra i cartelli della droga e sulla lotta delle forze di sicurezza contro il narcotraffico. Lo scorso anno il Messico ha dovuto contare più di diecimila assassinii e a rendere più grave l’emergenza ha contribuito la comparsa sulla scena nazionale delle cosiddette autodifese, gruppi armati che in talune regioni hanno combattuto sia contro i cartelli della droga che contro lo Stato.
Le situazioni di conflitto continuano ad alimentare un settore fiorente, uno dei pochi che non risente della crisi economica a livello planetario: il mercato delle armi. Secondo il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) solo nel 2012 sono stati investiti 1.750 miliardi di dollari in spese militari. Di questa cifra, ben l’8 per cento è destinata alle guerre in Medio oriente. E anche di questo si parla poco. Troppo poco.
Fonte: L’Osservatore Romano
27 febbraio 2014