Lampedusa, la voce dei somali: “Da un mese nessun contatto per chiedere asilo”


Raffaella Cosentino - redattoresociale.it


Sono i sopravvissuti a una tragedia del mare in cui morirono 10 migranti. Approdati sull’isola il 3 aprile, denunciano di essere stati abbandonati e imprigionati in una struttura turistica. Per loro non ci sarebbe posto nei centri di accoglienza.


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Lampedusa, la voce dei somali: “Da un mese nessun contatto per chiedere asilo”

Sono ancora 24 i naufraghi somali ed etiopi rimasti sull’isola dopo l’operazione di salvataggio in mare del 3 aprile scorso che portò a riva 48 persone e dieci cadaveri. Dei superstiti, la metà è stata trasferita nei centri di accoglienza italiani, gli altri denunciano per telefono di essere stati abbandonati da tutti. “Ci hanno lasciato qui in 24, la maggiorparte di noi è malata, abbiamo persone con problemi fisici e mentali – racconta Halima, una giovane somala – siamo come prigionieri in questa specie di hotel. Non possiamo uscire, nemmeno andare al mercato, è molto difficile incontrare perfino i residenti di Lampedusa. Abbiamo protestato perché siamo qui da quasi un mese e ci hanno promesso che avrebbero fatto qualcosa,  ma niente è successo”.

Ywares, etiope, denuncia: “Abbiamo bisogno di una seria attenzione sanitaria, dobbiamo parlare con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati perché vogliamo chiedere asilo, ma ma non abbiamo avuto comunicazione da loro”. Con il trasferimento di solo metà dei profughi, molte famiglie sono state divise. “Non sappiamo niente di loro – continua il ragazzo- non abbiamo idea di dove sono state portate le nostre famiglie e non abbiamo mai potuto parlare con loro nemmeno per telefono”. 

Secondo l’avvocato Paola La Rosa, residente a Lampedusa, nel gruppo ci sono persone con forti disturbi post –traumatici per l’esperienza vissuta in Libia. “Questi 24 sono stati dimenticati – afferma La Rosa – da quando Lampedusa è stata dichiarata porto non sicuro, nessuno può occuparsi di loro, il centro d’accoglienza non può fornire vestiario perché non ha l’autorizzazione”. I pasti sono portati due volte al giorno dal personale dell’aeronautica militare. Un’assistenza parziale è prestata dalla  Caritas lampedusana.
“Ma il vero problema è che queste persone, uomini e donne, sono qui come in un limbo, non hanno potuto chiedere asilo – continua l’avvocato – Si dice che sono qui perché non c’è posto nei Cara.  Da un momento all’altro potrebbero esserci altri arrivi, se non c’è posto per 24, non oso immaginare cosa succede se arriva un barcone con centinaia di persone a  bordo, come potrebbe verificarsi con la ripresa degli sbarchi”.

Fonte: http://www.redattoresociale.it
24 Aprile 2012

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