L’altrove delle bombe silenziose
Emanuele Giordana
Un centinaio di missili sulla Siria fanno rumore. Tutti i giornali e le tv del globo li hanno mostrati, descritti, analizzati. Eppure ogni giorno esplodono altre centinaia di bombe in un altrove che rumore non ne fa. Basta vedere cosa succede in Yemen e Afghanistan.
Un centinaio di missili sulla Siria fanno rumore. Tutti i giornali e le tv del globo li hanno mostrati, descritti, analizzati. Eppure ogni giorno esplodono altre centinaia di bombe in un altrove che rumore, non ne fa. Sono le bombe silenziose di guerre «secondarie», di stragi che non bucano il video, di conflitti apparentemente dormienti e ormai derubricati a non notizie.
Eppure i numeri sono importanti. E gli effetti nefasti così come nulli sono i risultati sul piano militare. Molte bombe, molte vittime e un’unica vittoria: quella di chi le fabbrica e le vende, più o meno apertamente.
Lo Yemen e l’Afghanistan sono un utile esercizio. Ci sono dati ufficiali o desunti, operazioni segrete (come per i droni), conti fatti da organismi indipendenti e da chi, è il caso dell’Us Air Force, ne fa un titolo di merito. Cento bombe si sganciano in Afghanistan in meno di dieci giorni. In Yemen il conto è quasi impossibile ma dal marzo 2015 al marzo 2018, in tre anni, il Paese è stato attraversato da 16.749 raid aerei con una media di 15 al giorno. In silenzio. Tranne per chi ci sta sotto.
Stabilire quante bombe ha sganciato al coalizione a guida saudita (una decina di nazioni musulmane sostenute da diversi Paesi, dagli Stati Uniti alla Turchia) è assai complesso anche se il numero di raid non lascia molti dubbi. Quel che interessa notare è che questo conflitto (che produce una «catastrofe umanitaria» secondo l’Onu, che ha bollato i raid come una «violazione del diritto internazionale») viene foraggiato indirettamente anche dall’Italia: Giorgio Beretta (che ne ha già scritto su il manifesto) ricorda che da Roma, nel 2016, «sono state autorizzate esportazioni di armamenti all’Arabia Saudita per 427 milioni di euro, la maggior parte delle quali, e cioè più di 411 milioni di euro, era costituita da bombe aeree del tipo MK82, MK83 e MK84 prodotte dalla Rwm Italia. Le stesse bombe i cui reperti sono stati ritrovati dalla commissione di esperti dell’Onu nelle aree civili bombardate dalla Royal Saudi Air Force in Yemen. Stiamo parlando di 19.900 bombe, la più grande esportazione fatta dall’Italia».
E gli effetti? Il Legal Center for Rights and Development (Lcrd), un’organizzazione della società civile locale con sede a Sana’a, stimava a oltre 12.500 le vittime civili nei primi 800 giorni della guerra. Secondo Yemen Data Project – un progetto indipendente e no profit di monitoraggio del conflitto – la coalizione a guida Saud (ottimo alleato di Trump, Macron e May) ha colpito obiettivi per quasi un terzo non militari: 456 raid aerei hanno bombardato aziende agricole, 195 mercati, 110 siti di erogazione di acqua ed elettricità, 70 strutture sanitarie, 63 luoghi di stoccaggio del cibo.
La profondità del monitoraggio dà luogo anche ad altri dati impressionanti. Il Lcrd ha documentato negli obiettivi colpiti: 593 mercati e quasi 700 negozi alimentari, 245 aziende avicole e 300 industrie, oltre a 300 centri medici e 827 scuole… Una lista infinita. Tutta civile.
Se cento bombe in Siria vi sembran tante, lo stesso numero di ordigni viene lanciato dal cielo in meno di dieci giorni in Afghanistan. Secondo i dati diffusi dall’United States Air Force, nel 2017 sono state sganciate in Afghanistan 4.300 bombe, con un ritmo di una dozzina al giorno, il triplo che in passato.
I risultati di questa nuova strategia di Trump sono sotto gli occhi di tutti: la guerra va avanti, gli attentati non diminuiscono, le vittime civili aumentano.
Quanto agli afgani, secondo il ministero della Difesa di Kabul, ogni giorno l’aviazione nazionale conduce una quindicina di raid ma non è dato sapere quanti ordigni hanno sganciato i piloti addestrati da Stati Uniti e dalla missione Nato, di cui l’Italia rappresenta il secondo contingente nel Paese.
Se si obiettasse che la potenza degli ordigni è mediamente assai minore rispetto a quella di un missile tomahawk, si può però ricordare che, proprio nell’aprile dello scorso anno, gli americani hanno sganciato in Afghanistan la «madre delle bombe», un ordigno con la potenza di 11 tonnellate di esplosivo (GBU-43/B Massive Ordnance Air Blast o Moab), in grado di disintegrare tutto fino a 300 metri di profondità e con un raggio d’azione di oltre un chilometro e mezzo. Doveva tramortire lo Stato islamico, sempre però molto attivo nel Paese.
Le vittime civili in Afghanistan sono in costante aumento (3.438 morti e 7.015 feriti l’anno scorso secondo la missione Onu a Kabul). Anche se sono in gran parte da attribuire ad attentati e scontri di terra, il rapporto di Unama (la missione Onu in Afghanistan) osserva un aumento delle vittime dovute a raid aerei (295 morti e 336 feriti nel 2017), il numero più alto in un singolo anno dal lontano 2009.
Emanuele Giordana
Il Manifesto
18 aprile 2018