La Turchia e l’evoluzione della protesta
Salvatore Lucente
Attacchi hacker, cancellazione dei debiti dei cittadini, sit-in. Ma soprattutto una nuova presa di coscienza: in 11 parchi ci si incontra per discutere e proporre.
Venerdì Istanbul si è svegliata con una grossa novita. Il gruppo di hacker turchi che va sotto il nome di “Redhack” è riuscito ad entrare nel sistema informatico del Sistema Amministrativo della Provincia Speciale di Istanbul, cancellando i debiti dei cittadini con la pubblica amministrazione, rendendo pubbliche le password di sistema, cambiando il nome di una scuola intitolandola ad Abdullah Cömert, uno dei martiri della protesta. Un altro dato forse ancora più utile, è stata la pubblicazione dei parametri, finora sconosciuti, che rendono le bollette di luce e gas così costose per i cittadini. Solo mercoledì scorso, il grande sit-in di protesta ad Istanbul davanti alla sede della ATV HQ colpevole di un falso report per screditare la figura di Ethem Sarisuluk – il manifestante ucciso da un colpo di pistola sparato da un agente durante le proteste ad Ankara.
Giovedì sera, dopo il forum, l’assemblea di Abbasaga ha iniziato una nuova marcia di protesta a cui hanno partecipato migliaia di cittadini, fermata da uno sbarramento di poliziotti anti sommossa e toma lungo Barbaros Boulevard. İ manifestanti hanno convertito la marcia in un sit che si è concluso senza scontri con le forze dell’ordine ed il ritorno al parco. Da martedì scorso, quando una grande folla si è riunita tra Istiklal e Taksim (l’accesso alla piazza vera e propria era sbarrato) per protestare contro la decisione della corte di Ankara di rilasciare l’agente che ha sparato ad Ethem Sarisuluk, si registra, anche se solo in Istanbul, un cambio di strategia da parte delle autorità. Nella città dei due continenti gli agenti non aggrediscono più i manifestanti, sbarrano l’accesso ai luoghi ed attendono.
Il più grande momento di vita democratica nella storia della Turchia continua ad evolversi in forme differenti ed il suo progressivo sviluppo sembra non poter essere fermato che con la forza. In undici parchi di Istanbul continuano gli incontri serali per discutere le azioni da mettere in campo e trovare nuove forme di organizzazione della protesta in atto, coinvolgendo un numero di cittadini sempre maggiore.
Uno dei forum più seguiti è quello di Abasağa, il parco del quartiere di Besiktas, dove l’atmosfera sembra quella di Gezi Park, con stand di informazione, gruppi di lavoro su tematiche specifiche ed un grande forum centrale dove una ad una le persone prendono la parola ed espongono ragioni, dubbi e proposte. Il maggior tema di discussione è intorno alla vita quotidiana, il rıspetto dei diritti umani e uno Stato di diritto, dove la giustizia sia assicurata.
Un fenomeno nuovo nella storia della Turchia, primo figlio delle proteste che hanno infiammato Istanbul e a ruota tutto il Paese in questo mese infuocato. Ma la svolta politica rispetto ai primi giorni di Gezi Park comincia ad essere evidente. Si è creata un’opposizione che inizia ad amalgamarsi su punti comuni, simile a quella della crisi economica del 2008, e parlamento e democrazia parlamentare sono maggiormente e nuovamente questionabili. Tutti vogliono una democrazia libera ed egualitaria ed una nuova organizzazione. Le persone che provengono dai movimenti più radicali si stanno convertendo su posizioni più moderate, più aperte al dialogo con altri soggetti storicamente contrapposti. E così provano a convivere kemalisti e indipendentisti Curdi, CHP e BDP anche se la convivenza appare difficile.
Le ruggini sono antiche ma anche abbastanza recenti, basta andare ad un anno e mezzo fa, al sanguinoso bombardamento di Roboski (Uludere). Non si cerca di costruire, almeno al momento, un nuovo partito, ma la discussione assume un aspetto più politicizzato, una coscienza nuova in cui si cerca di canalizzare le differenti ragioni di una protesta partita come spontanea ed a-partitica verso la costruzione di un disegno politico.
Le discussioni intorno a politiche anti-sistema stanno sensibilmente crescendo, sia intorno alla politica che intorno all’organizzazione della protesta, diretta contro gli organi di informazione “conniventi” e le istituzioni. Non è solo l’AKP ad essere messo in discussione, ma il sistema neo-liberista che si porta dietro, con tutti i danni evidenti, dalla distruzione dell’ambiente e delle risorse alla mercificazione della vita umana. Per tutta risposta, i componenti delle piattaforme di protesta propongono sistemi di vita alternativi, dal mercato di scambio all’associazionismo. È il tentativo di costruire una nuova società, da parte di quella che potremmo definire come la piccola borghesia cittadina ed i suoi futuri appartenenti (gli studenti), che includa le classi sociali più disagiate.
La solidarietà espressa durante le proteste, che continua durante i forum con workshop gratuiti e corsi, forme di solidarietà locale con distribuzione di cibo e vestiti, creazione e gestione di media alternativi e boicottaggio si esprime sempre più come una via all’anticapitalismo.
Fonte: Nena News
1 luglio 2013