La speranza inizio di un cammnino
Misna
Intervista a Romano Prodi. L’Africa è ancora il più grande problema del mondo. È il continente più povero, con gli indici più arretrati. Ma cosa c’è finalmente oggi? C’è la speranza. D’improvviso.
“Di nuovo, in Africa, c’è la speranza” dice Romano Prodi guardando il grattacielo da 125 milioni di dollari che i cinesi hanno voluto ad Addis Abeba come simbolo di un impegno necessario per l’unità e lo sviluppo del continente.
Da questa torre di acciaio che tocca il cielo sull’altipiano etiopico, divenuto a gennaio la nuova sede dell’Unione Africana, l’ex presidente del Consiglio e della Commissione europea è appena uscito. Con la sua Fondazione per la collaborazione tra i popoli, ha coordinato i lavori di una conferenza intitolata “Africa: 54 Stati, una unione”. Il messaggio è che pace, sicurezza e sviluppo economico-sociale sono la stessa cosa e si chiamano integrazione. È un messaggio rivolto anche all’Europa, che dopo aver accolto con entusiasmo le primavere arabe si è voltata dall’altra parte. Nonostante in gioco ci sia anche il suo futuro.
Professore, cosa hanno in comune l’integrazione dell’Europa e quella dell’Africa?
“L’Africa è ancora il più grande problema del mondo. È il continente più povero, con gli indici più arretrati. Ma cosa c’è finalmente oggi? C’è la speranza. D’improvviso. Anche se non possono mettere a posto la situazione, perché il punto di partenza è molto basso, anni di sviluppo hanno dato all’Africa la speranza. E la speranza è la più grande risorsa che esista. È lo stesso sentimento che fece fare un balzo in avanti all’Europa negli anni ’50. Cosa c’era allora? La speranza di potersi risollevare dopo una guerra tragica. Oggi l’Africa ha la speranza di potersi rialzare dopo secoli di umiliazione”.
L’economista africana Dambisa Moyo sostiene che la crisi dell’Europa e le difficoltà degli Stati Uniti rischiano di colpire anche a sud del Sahara. È una visione pessimista?
“Oggi lo sviluppo del mondo è di una semplicità estrema. L’Asia e l’Africa si sviluppano forte, gli Stati Uniti un po’, l’Europa niente. Non ha senso mettersi a dissertare perché il tasso di crescita del Prodotto interno lordo della Cina è diminuito dal 9 all’8%. L’Africa non dà segnali di cedimento. Il suo tasso di sviluppo non è ‘cinese’ ma resta assai più alto di quello americano ed europeo. L’ipotesi della Moyo è che, se tutto crolla, crolla anche l’Africa. Non è il modo di ragionare. Oggi l’Africa attraversa un periodo di buona crescita. Questo conta ben poco se si considera da quanto in basso parte il continente. Ci vorranno decenni perché le conseguenze dello sviluppo si sentano. Ma il fatto che sia cominciato ha messo in moto la speranza. Nelle città dell’Africa si vede l’inizio di qualcosa di nuovo, politiche per le infrastrutture, per l’energia, la scuola. Tutto questo però finirà presto se non ci sarà una solidarietà politica. È essenziale realizzare un mercato comune e infrastrutture che mettano insieme le economie dei singoli paesi. Non si deve essere pessimisti o ottimisti per definizione. Bisogna notare con piacere le novità positive che ci sono e operare perché diventino durature”.
Cosa resta delle speranze suscitate dalle primavere arabe?
“Non possiamo ancora dire che quelle speranze siano state del tutto rese vane. La democrazia egiziana è lenta ad affermarsi. Alle elezioni presidenziali mancano poche settimane e al Cairo ci sono tensioni ogni giorno. La Libia è un paese frammentato, pieno di armi, dove è difficile creare strutture di sicurezza comuni. Non possiamo essere ottimisti, ma quello delle primavere arabe non è ancora un processo perduto. In fondo la Tunisia sta riprendendo il suo cammino in modo democratico, dimostrando che gli obiettivi della rivoluzione possono essere raggiunti. Finora è un bilancio con molte ombre e qualche luce. Bisogna sottolineare che l’Europa ha accolto con entusiasmo le primavere arabe ma ha fatto ben poco per aiutarne l’evoluzione positiva”.
E a sud del Sahara cosa succede?
“La paura è che le turbolenze libiche si ripercuotano in Mali e in altre aree del continente. Per ora si è trattato di episodi locali ma degni di preoccupata attenzione. Nel complesso, però, lo sviluppo sta dando coraggio alla gente. Gli africani non si dichiarano più perdenti per definizione. È già qualcosa”.
Fonte: www.misna.it
5 Maggio 2012