La “soluzione” di Manduria


Maria Luisa Mastrogiovanni


La disperazione dalla Sicilia a Manduria a Potenza, dove sono destinati gli ultimi tunisini arrivati sul Continente, non trova ascolto, né conforto. Davanti ai poliziotti i migranti sono scappati via. Eccola la ricetta: far finta che il problema non esista, dare l’idea che si stia mettendo su un gran da fare, poi far di tutto per passare la patata bollente alla Francia e far gestire il transito dei migranti per l’Italia alla mafia.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
La "soluzione" di Manduria

Sul molo di Taranto c'è chi minaccia il suicidio per impiccagione, con i lacci di scarpe che ancora gli sono rimasti. Desiste, i compagni di viaggio lo implorano. A Lampedusa è un corpo a corpo tra il poliziotto incaricato di selezionare chi salperà per Taranto e chi ancora rimarrà sulla banchina del porto. La disperazione dalla Sicilia a Manduria a Potenza, dove sono destinati gli ultimi tunisini arrivati sul Continente, non trova ascolto, né conforto. 
Fino a ieri il corridoio tra Grecia e Turchia, sul fiume Evros, era l'unico sfiatatoio per i migranti che dal Corno d'Africa, dal Medio oriente, da Iran, Irak, Afghanistan, Pakistan, perfino Birmania e Georgia, cercano di arrivare in Europa clandestinamente. La ricostruzione della rete criminale internazionale che gestisce i traffici umani, uscirà a giugno, nel documentario «Traffici umani». Una rete criminale flessibile e versatile, che semplicemente risponde a dinamiche di mercato: dove c'è la domanda, si crea l'offerta dei servizi. I servizi riguardano l'organizzazione del viaggio verso l'Europa, un viaggio le cui rotte, dall'accordo del 2008 tra la Libia e l'Italia ad oggi, non prevedeva passaggi dal Nord Africa.
«Un altro muro di Berlino è crollato», aveva dichiarato il ministro Maroni all'indomani della rivoluzione in Tunisia e in meno di due settimane i trafficanti hanno raccolto uomini e mezzi per soddisfare la domanda che proviene dal mercato dell'immigrazione clandestina. Si chiama «smuggling» ed è il reato di 'traffico di persone', che pagano un ticket più o meno caro, a chi è in grado di traghettarli verso l'Europa. Tutti poi sanno che il ticket più caro è la vita e dai primi di marzo ad oggi sono un centinaio, quelli che, quel ticket, l'hanno pagato in mare. Si tratta solo di stime e si sparano numeri, perché la verità è che nessuno ha la contezza precisa di quante siano le persone che partono da Lampedusa e arrivano a Manduria.

Eppure sono arrivate su navi della flotta della marina militare italiana, ma di giorno in giorno i numeri ufficiali cambiano e sono sempre preceduti da 'circa': significa che i migranti che partono e che arrivano non sono stati identificati, non si sa se siano persone che hanno diritto all'asilo politico, se lo vogliono richiedere, se sono da considerarsi semplici clandestini e che, dunque, in basse all'assurda legge italiana, hanno compiuto un «reato». L'introduzione del «reato di clandestinità» nell'ordinamento giudiziario infatti fa sì che si tratti di potenziali criminali: la procedura esigerebbe che siano aperti tanti fascicoli per quanti sono i migranti e che i magistrati istruiscano altrettanti processi. Un'orgia giudiziaria impossibile da gestire anche per Berlusconi, che ha già trovato la soluzione: «Svuoteremo Lampedusa entro due giorni».
Il meccanismo con cui svuotare l'isola è chiaro appena arrivati a Manduria: l'atmosfera è rilassata, ci sono decine di poliziotti e vigili del fuoco che ridono. Sembra tutto surreale. Grandi tende di plastica dovrebbero ospitare al massimo 600 persone, ma in questi giorni, facendo i conti alla meno peggio, ne son passate da lì più di 3000. Nessuno di loro è stato identificato: per cui del loro passaggio, alla fine, non rimane traccia. Uscire dal campo è facile quanto entrare: la rete di recinzione non supera un metro e 80 e in alcuni punti a stenti si tiene su. Il campo è un vecchio aeroporto militare della seconda guerra mondiale. Qui è ancora zona militare, ma quel poco che rimane sono ruderi e pezzi di muro a secco. È un poliziotto a spiegare come fare per parlare con i migranti: «Alla fine del muro, attraversa il campo, lì la recinzione è bassa. Attenta perché da lì scappano». Ed effettivamente scappare non è un problema, sotto gli occhi di tutto lo spiegamento di forze militari.

Corrono via a piccoli gruppi, 200 metri e inizia l'uliveto secolare. Arriva l'elicottero della polizia, i migranti si nascondono sotto gli alberi, abbracciano i tronchi e vengono protetti dalla chiome maestose degli ulivi. L'elicottero va via e riprendono la fuga verso la stazione di Oria, da dove cercheranno di raggiungere la Francia. «Ma come, scappano, non fate nulla?». Il poliziotto fa spallucce. Un vigile del fuoco racconta: «È tutto studiato, la polizia deve lasciarli andare, perché non sanno dove metterli». Ed effettivamente Med, l'amico tunisino che ci accompagna e che da 22 anni è in Italia, si fa raccontare, in arabo, quali sono le condizioni del campo: niente docce, niente bagni, poco cibo, poca acqua.
Tutti per arrivare a Lampedusa hanno pagato i trafficanti: dai 2000-3000 euro a testa. C'è chi ha venduto i gioielli della madre, chi un terreno, chi una casa, per racimolare i soldi e fuggire. Ma a chi? A chi hanno venduto e chi hanno pagato per arrivare in Italia? Chi sta organizzando quest'enorme business? Dall'inizio dell'anno sono circa 20 mila le persone che hanno raggiunto l'Italia dal Nord africa: un giro d'affari di più di 60 milioni di euro di tre mesi. Raccontano: «La polizia tunisina ci lascia andare, sono corrotti, basta pagarli e ti lasciano fare. I trafficanti sono facili da contattare»: eccolo, il business.
A piccoli gruppi si allontanano dal campo e si dirigono verso un rudere, in zona militare. Ci sono grandi sacchi, nascosti tra l'erba, pieni di scarpe e vestiti nuovi. C'è un passaparola: scavalcano la rete, fanno tappa in quel rudere, si cambiano le scarpe, prendono qualche vestito e proseguono la fuga, dirigendosi verso l'uliveto. Nessuno dei poliziotti ha visto nulla e sa nulla. Il capo della Procura di Lecce, Cataldo Motta, nella sua ultima relazione sullo «smuggling», parlando del percorso seguito dai migranti, che cercano di arrivare in Europa passando il fiume Evros, al confine tra Turchia e Grecia, poi arrivando in Italia, sbarcando sulle coste salentine, spiega come la criminalità locale gestisca la logistica dell'ultima tappa del viaggio dei migranti verso l'Europa. Significa che una volta arrivati nel Tacco d'Italia c'è chi li accoglie, chi li rifornisce di cibo, vestiti e scarpe, per poi far loro proseguire il viaggio. Fa parte del pacchetto, all inclusive, tutto pagato. Med chiede conferma ai tunisini che sono al di là della rete. Dicono che «sì, c'è chi sa come organizzarsi e dove andare, per proseguire il viaggio tranquillamente. Sanno dove rifocillarsi, trovare il ricambio di vestiti, di scarpe nuove perché all'ingresso i poliziotti hanno tolto le stringhe e le cinture dei pantaloni».

Sul bordo della strada ci sono gruppi di persone agitate. Si conoscono con tutti i poliziotti e mi raccontano di averne 'acchiappati' quattro pochi minuti prima. Li hanno riportati indietro, dai poliziotti e questi hanno risposto: «E che dobbiamo farcene? Rilasciateli». E così li hanno lasciati andare. Davanti ai poliziotti i migranti sono scappati via. Gli abitanti di Manduria e Oria si sono organizzati in ronde e informano i poliziotti di quello che faranno la notte: concordano con loro che cosa fare e come. Eccola la ricetta di Berlusconi: far finta che il problema non esita, fare ammuina, dare l'idea che si stia mettendo su un gran da fare, poi far di tutto per passare la patata bollente alla Francia e far gestire il transito dei migranti per l'Italia alla mafia.

Fonte: www.ilmanifesto.it

3 aprile 2011

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento