La sfida delle bandiere (turche) a Gerusalemme


Paola Caridi - invisiblearabs.com


Esporre bandiere, a Gerusalemme, è un vero e proprio atto di disobbedienza civile. Non solo quando le bandiere sono palestinesi, nel cuore di Gerusalemme est. Ma ora anche quando sono turche. E a campeggiare, ora, sono anche le gigantografie di Erdogan. Neo-ottomanismo?


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La sfida delle bandiere (turche) a Gerusalemme

Il colpo d’occhio, in effetti, è di quelli che non passano inosservati. In una delle strade più conosciute di Gerusalemme est, campeggiano bandiere turche, mentre le vetrine del piccolo supermercato sono tappezzate di gigantografie di Recep Tayyep Erdogan. Una vera e propria sfida alle autorità israeliane, visto che a Gerusalemme est è vietato mettere in mostra bandiere palestinesi. È vietato, a dire il vero, anche sui libri di testo in uso nelle scuole a oriente della Linea Verde, in città, tanto che la versione israeliana dei manuali è stata epurata dalle bandiere palestinesi  – lo mostra Edmund Sanders sul suo reportage pubblicato sul Los Angeles Times – persino su una pagina del libro di matematica del primo anno.

Esibire le bandiere, a Gerusalemme est, è dunque un gesto politico. E un gesto di sfida nei confronti delle autorità israeliane da parte della popolazione palestinese, in una città in cui vi è una volontaria iper-esposizione delle bandiere israeliane. Vietate le bandiere palestinesi, a un certo punto – da oltre un anno – sono comparse le bandiere turche. Non solo. Sono comparsi anche i localini che offrono kebab turco, con tanto – appunto – di bandierine.

È evidente la connotazione politica, legata alle posizioni di Ankara e al confronto sempre più duro tra il governo di Erdogan e quello di Netanyahu. Soprattutto, da ultimo, sull’affaire della Mavi Marmara e sul rifiuto israeliano di porgere le scuse formali per aver ucciso nove cittadini turchi. Se ne sono accorti anche esponenti della destra israeliana, che si sono lamentati soprattutto quando la bandiera turca ha fatto la sua comparsa dentro la Città Vecchia.

Azzam Maraka, il proprietario dello spaccio tappezzato dalle gigantografie di Erdogan, ha ricevuto la quinta multa, per la sua piccola sfida. Un totale di 650 dollari da pagare alle autorità israeliane. Un cifra abbastanza considerevole, da queste parti. Il signor Maraka, però, non vuole pagare le multe, e vuole andare in tribunale. Se gesto politico ha da essere, questo sembra il sottotesto, che gesto politico sia, sino alla fine. Si chiamerebbe, in Italia e in Europa, disobbedienza civile. Pacifica, peraltro. Dunque, non fa notizia.

La strada su cui s’affaccia il supermercatino, d’altra parte, non è una strada anonima, senza storia. A cinquanta metri di distanza ci sono due tra gli edifici più noti, della storia contemporanea di Gerusalemme est. Lungo lo stesso lato, c’è la Orient House, chiusa da Israele ormai da anni, e riaperta solo perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità vi ha aperto i suoi uffici. Era la sede della rappresentanza politica dei palestinesi a Gerusalemme. Era stata, in sostanza, la casa di Feysal al Husseini, mai dimenticato leader gerosolimitano, morto dieci anni fa. Di fronte alla Orient House, c’è Dar el Tifl, la Casa dei bambini, l’orfanotrofio messo su da un’altra esponente della famiglia Husseini, Hind. Vi portò, nel 1948, i bambini sopravvissuti alla strage di Deir Yassin, compiuta dalla Banda Stern e dall’Irgun. Un luogo-simbolo, per i palestinesi, dove sono state ospitate anche Susan Abulhawa (Ogni mattino a Jenin, Feltrinelli) e Rula Jebreal (Miral è stato tratto dalla sua esperienza).

Non è una strada senza significato, dunque. È, peraltro, uno dei luoghi in cui ci sono ancora le tracce di quella Gerusalemme di fine Ottocento-inizio Novecento, che era uscita dalla Città Vecchia e aveva cominciato a costruire ville e residenze. La borghesia palestinese musulmana e cristiana. Sheykh Jarrah, dove si trova la strada del supermercatino, era stata una delle aree di espansione delle grandi famiglie musulmane, dagli Husseini ai Nashashibi ai Nusseibeh (la casa della famiglia di Sari Nusseibeh è a una cinquantina di metri di distanza, proprio di fronte all’American Colony). Da anni ormai, però, Sheykh Jarrah non è più quella specie di parentesi nel tessuto cittadino, tra l’American Colony e la strada commerciale, tra lo YMCA e il British Council. È diventato uno degli ennesimi luoghi del contendere: uno dei nodi su cui si gioca il destino della città. Vi si scontrano, ogni venerdì pomeriggio, le due Israele: i pacifisti israeliani (compreso, spesso, David Grossman) che protestano contro i coloni israeliani, che hanno già cacciato di casa alcune famiglie palestinesi, attorno alla tomba di Shimon HaTzadik, Simone il Giusto.

Non è solo una questione di bandiere, insomma. Quelle bandiere raccontano molto, di una Gerusalemme nascosta ai più. Lontana dalle sacre pietre.

Fonte: Invisiblearabs.com

26 ottobre 2011

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