La settimana decisiva
Paola Caridi - invisiblearabs.com
George W. Bush ha concluso la sua visita israeliana, segnata dal durissimo discorso alla Knesset che ha vieppiù rafforzato i venti di guerra che già spirano.
George W. Bush ha concluso la sua visita israeliana, segnata dal durissimo discorso alla Knesset che ha vieppiù rafforzato i venti di guerra che già spirano. Il World Economic Forum di Sharm el Sheykh ha riunito i maggiorenti della regione. E intanto Omar Suleyman, il vero protagonista della mediazione per una tregua tra Israele e Hamas su Gaza, sta continuando il suo lavoro. Le indiscrezioni di stampa, oggi, parlano di un ammorbidimento dei toni da parte del governo israeliano, dopo il sostanziale "no" alla proposta di cessate-il-fuoco di Hamas, portata ai dirigenti di Tel Aviv da Suleyman. Cos'è cambiato in questi giorni? Secondo Haaretz, gli israeliani avrebbero capito che non c'è appoggio per una massiccia operazione militare di terra, da attuare nelle prossime settimane, sia da parte americana sia da parte dei più rappresentativi paesi europei. Nessuno, insomma, sembra disposto a mandare i propri soldati a impantanarsi a Gaza.
E anche il fronte interno israeliano mostra delle crepe. Da una parte il settore dei kibbutz, che chiede di parlare con Hamas: un settore che non è più importante come una volta, visto che i kibbutz coprono una percentuale risibile dell'Israele di campagna, sia in termini di estensione sia in termini di popolazione. Alcuni dei kibbutz più importanti, però, sono nel sud, nel Negev, e sono stati bersaglio dei Qassam che vengono lanciati da Gaza. E poi la lettera pubblica della scorsa settimana, firmata non solo da Yossi Beilin, ma da alcuni importanti esponenti del mondo militare e della sicurezza, che chiede a un Ehud Olmert ancora sotto indagine di negoziare con il movimento islamista palestinese che controlla Gaza.
Quanto queste pressioni, interne e internazionali, fermeranno il governo israeliano, e soprattutto il ministro della difesa Ehud Barak, è difficile ancora comprenderlo. Ma questa settimana è decisiva, sia per la macchina militare israeliana, sia in particolare per gli egiziani. Gaza è un dossier molto delicato, per la stabilità dell'Egitto, e pour cause Hosni Mubarak ha messo in campo il suo uomo migliore, Suleyman, per disinnescare la miccia. E le pressioni egiziane sugli israeliani debbono essere state determinanti, se è vera la notizia dell'ammorbidimento delle posizioni di Tel Aviv. Nel caso fallisse la mediazione di Suleyman – che ha detto chiaro e tondo, a Sharm, che ora la palla è nella metà campo israeliana -, il Cairo potrebbe veramente riaprire Rafah (nella foto, una casa demolita a Rafah dall'esercito israeliano, tratta da Frontline, il blog di una volontaria giapponese)gestire il dossier Gaza per conto suo, senza un coinvolgimento israeliano. E se Rafah riaprisse, l'operazione di terra diverrebbe ancor più difficile. Forse veramente improponibile, perché Gaza finirebbe di essere isolata, e avrebbe la sua porta aperta verso l'Egitto: l'unico paese arabo che in Israele ha suscitato timori, da punto di vista della potenza militare.
Fonte: Blog di Paola Caridi