La scuola salvata (forse) dalle famiglie. E dai “Cesaroni”


Paolo Casicci


Lotterie. Cene sociali. E pure un istituto che si è riciclato come set per la tv. Il diritto allo studio dipende sempre più dai genitori e dall’inventiva dei presidi. Intanto lo Stato è in debito di oltre un miliardo. Ma sventola, minaccioso l’allegato «Z».


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La scuola salvata (forse) dalle famiglie. E dai "Cesaroni"

«Avrebbero dovuto bocciare il figlio di Claudio Amendola…». Marco Olivieri, il preside del circolo didattico Cesare Battisti,la butta in ridere. Che cosa c’entra il popolare attore romano con le ansie di un dirigente scolastico al tempo della Gemini? Nulla, se quell’attore non fosse il protagonista dei Cesaroni,la fortunata fiction girata proprio all’istituto di Olivieri, alla Garbatella. Il preside smorza il sorriso, poi allarga le braccia: «Per anni, abbiamo fatto quadrare i conti affittando i locali alla serie tv. Ma  ora che il set ha chiuso, pensiamo di chiedere un contributo alle famiglie». Una cifra poco più che simbolica: 15 euro ad alunno. Moltiplicata per ottocento bambini, fanno 12 mila euro. «Sempre che paghino tutti. Noi, però, non obbligheremo nessuno. Ed esenteremo chi non può permetterselo».

Quello del preside mollato dai Cesaroni sarà, forse, l’ennesimo pezzo di scuola pubblica – e dell’obbligo – che, in qualche modo, si privatizza. La lista di chi è «costretto» a chiedere soldi alle famiglie comprende già il 53,1 per cento degli istituti (dato Censis): il 34,7 di quelli dell’infanzia e l’85,6 delle superiori. Qui il contributo medio s’aggira intorno agli 80 euro (con punte di 260 nei licei) contro i 18 di elementari e secondarie inferiori. E non è finita. Perché bisogna aggiungere le iniziative spontanee delle famiglie. Lotterie. Mercatini dell’usato. Calendari di mamme in posa. All’istituto Gramsci-Montagnola di Firenze, centotrentacinque tra docenti, genitori e alunni sono reduci da una cena sociale: tutto esaurito e duemila euro di ricavato. «Il ministro ce ne deve 150mila» spiega il preside Doriano Bizzarri: «tutte somme anticipate negli anni, soprattutto per le supplenze». Da tempo, qui, non comprano un pc: aspettano che li regalino le banche. «E l’ultima mano di pittura ai muri l’hanno data i genitori con i colori pagati dal quartiere».

Ma tra fiction e neorealismo, c’è anche chi organizza la rivolta. Le famiglie di duecento alunni dell’istituto comprensivo di Bruino, nel Torinese, hanno intentato, con la Cgil, una class action contro il ministero dell’Istruzione. Racconta Diogene Franoso «Da tempo, il consiglio d’istituto chiede a noi genitori un contributo volontario di 25 euro, da quest’anno lievitato a 50. E noi siamo lieti di finanziare la carta igienica e le fotocopie, le risme di carta e il sapone. Con queste somme, la scuola ha effettuato anticipi di cassa per 130 mila euro che lo Stato non ha restituito». Sarà un giudice a far aprire i cordoni della borsa a Mariastella Gelmini? La Cgil, e l’associazione Genitori democratici, attendono fiduciosi. E definiscono quella piemontese una  «causa pilota». La somma che un giorno il  ministero potrebbe dover versare alle scuole per pareggiare i conti è quasi una «stangatina» di fine anno: un miliardo 300 milioni, da ripartire tra il 27,7 per cento degli oltre diecimila istituti del Paese. A questa cifra, confermata un mese fa dal dirigente del ministero Rocco Pinneri a un seminario del sindacato, vanno poi aggiunte altre decine di milioni dovuti da altri enti – le Regioni, per esempio: al Lazio, un’associazione dei presidi ha già indirizzato due lettere aperte.

Come s’è creata una voragine simile? Lo spiega un documento del 2007, ancora attuale. E’ la lettera ai presidi con cui Emanuele Barbieri, allora capo dipartimento del ministero retto dal pd Beppe Fioroni, attribuiva il miliardo di debiti accumulati dal governo alla gestione di Letizia Moratti: i tagli ai fondi per le supplenze (-46 per cento), per gli esami di Stato (-72,6) e per l’ordinaria amministrazione (-53) avevano costretto le scuole a coprire queste voci con anticipi di cassa attingendo ai contributi dei genitori, sicure di una futura restituzione. «Da allora, i presidi hanno programmato attività confidando su questi arretrati che, però, sono arrivati solo in minima parte» spiega il segretario della Cgil scuola Domenico Pantaleo. «Il debito del governo, prima che finanziario, è morale». Dice Micaela Ricciardi, preside del liceo classico Giulio Cesare di Roma: «Solo a noi, il ministero deve qualcosa come 250 mila euro, tutti spesi in supplenze o per gli esami di Stato. Cioè, per garantire il diritto allo studio. E’ una cifra documentata in bilancio, ma so  già che non vedremo un euro». Sempre a Roma, anche Carlo Mari del Dante Alighieri dispera di rivedere i centomila euro anticipati per le supplenze e i commissari esterni. E così Innocente Pessina del Berchet di Milano (213 mila euro) e Mario Rusconi del Newton a Roma (131mila euro). Tutte scuole alle quali le famiglie versano ogni anno contributi a due, tre cifre. «Se fossimo un’azienda, ci saremmo già rivolti al recupero crediti» sospira un preside lombardo, «ma le scuole sono il ministero, e la legge non lo permette».

Alla domanda perché queste somme non vengano erogate, Viale Trastevere non si trincera dietro crisi di cassa. Ma adombra l’accusa ai presidi di avere scialato. Da tempo, infatti, il ministero invita le scuole a inserire i crediti in una voce di bilancio dedicata, il surreale «aggregato Z», e a dimenticarli. L’aggregato Z può riemergere dalla memoria in casi disperati, come accade in questi casi per alcune scuole veramente alla canna del gas: quelle di cui il ministero riconosce  la «sofferenza» e per le quali s’è rassegnato a staccare un assegno da 160 milioni in totale. «Ma, anche in questo caso, il direttore generale Mario Filisetti mette le mani avanti e puntualizza che il versamento è fatto a istituti che potrebbero ”aver assunto impegni senza rispettare norme di contabilità pubblica”» riferisce Pantaleo della Cgil. Come dire: sono costretto ad aiutarti, ma qualche sospetto sulla tua gestione ce l’ho. «Forse  un po’ d’autocritica da parte di alcuni colleghi sarebbe opportuna» secondo Carla Alfano dell’istituto comprensivo romano romano Alfieri-Lante della Rovere. «Ma da qui a dire che chi ha garantito le lezioni con le supplenze ha scialacquato, ce ne corre. Con le supplenze, evitiamo di smembrare le classi per giorni. E di danneggiare anche gli alunni che, altrimenti, devono ospitare i compagni rimasti senza un maestro o un professore. Insomma, ne va della qualità».

Già, la qualità dell’insegnamento: la grande questione a margine, ma non marginale, delle somme che le scuole non riescono ad incassare. Dice Olivieri, il preside dei Cesaroni: «Già da anni, per attività integrative come il teatro e la musica, chiediamo un contributo a chi se lo può permettere». Anche nella scuola di Carla Alfano sono intervenuti i genitori: «Col taglio delle ore, rischiavano di saltare i corsi aggiuntivi di lingua straniera». Il Berchet di Milano, invece festeggerà il centenario con un ricco programma finanziato, anche, da ex alunni di successo. E, al Newton di Roma, l’Eni contribuisce a un progetto d’informatica e inglese. C’è ancora speranza, dunque. Almeno per chi può contare sui suoi Cesaroni.

Fonte: La Repubblica

14 gennaio  2011

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