La Russa, lo scontro dietro lo scontro
Emanuele Giordana - Lettera22
Cosa c’è dietro le frizioni e tra ministro e militari originato dalle ultime uscite del titolare della Difesa? Anche una vecchia ruggine col generale Vincenzo Camporini, Capo di stato maggiore della Difesa fino al 17 gennaio. E la messa in guardia al suo successore.
Dietro lo scontro tra ministro e militari c'è una vecchia ruggine. Col generale Vincenzo Camporini, Capo di stato maggiore della Difesa fino al 17 gennaio 2011 quando arriverà il turno di Biagio Abrate. Per Camporini, nominato nel novembre 2007 ed entrato in carica nel febbraio 2008, si trattava della seconda proroga dopo quella stabilita nel gennaio 2010. Proroghe, è bene dirlo, dovute non a una simpatia particolare nei suoi confronti ma al difficile Cencelli interno ai militari, che prevede una rotazione tra le tre armi (aviazione, esercito, marina) e questioni di anagrafica e carriera. Forse, se fosse stato per Ignazio La Russa, Camporini sarebbe già a casa. Non corre buon sangue tra i due e in ogni caserma la cosa è nota.
A Camporini, come in genere ai soldati italiani, gli atteggiamenti muscolari di La Russa non sono mai piaciuti. Né eran gradite, benché possa apparire strano, le passeggiate in mimetica del ministro. Tanto meno le sue sparate come quella, uscita dalla bocca del ministro in novembre, che prefigurava l'idea di armare i caccia italiani in Afghanistan con le bombe: consigliando un pugno più duro a un esercito che ha fatto dell'approccio soft la sua arma migliore per evitare vittime sia tra i civili dei Paesi occupati sia tra i propri soldati. Ai militari semmai veniva da chiedersi perché il governo Berlusconi avesse tagliati i fondi alla Difesa o perché si tardasse tanto a dotare le truppe impegnate nei teatri difficili di mezzi adeguati per migliorare la sicurezza dei soldati.
In più di un'occasione, dicono nei corridoi, Camporini ha fatto presente al ministro i suoi consigli a cui la Russa dava retta poco volentieri. Come avere simpatia del resto per un uomo che, in un recente libro-intervista (Due pacifisti e un generale, uscito per Ediesse) parla di un'Italia figlia della cultura cristiana e socialista? E che, nello stesso libro, alla domanda sul ruolo che deve avere un ministro della Difesa, suggerisce che sia l'anello di congiunzione tra il Palazzo e la caserma, tra la politica e i soldati. Ma proprio quel libro, una sorta di “testamento politico” ma anche la prima volta che un militare di rango dice la sua su guerra, politica, rapporti col Palazzo, vita e morte, errori e sfide, fu l'ennesimo scontro. Quando la Difesa seppe dell'iniziativa sconsigliò. Camporini tirò dritto.
Roboante l'uno quanto schivo l'altro, fuori dalle righe il primo quanto cauto il secondo, La Russa e Camporini sembrano incarnare due visioni del mondo (militare) all'opposto. La Russa ci vede il mezzo per far roteare la spada della propaganda patria e, in ultima analisi, governativa. Camporini un mezzo al servizio della politica ma che spesso la politica utilizza quando non sa che fare.
Se La Russa avesse in mente Camporini mentre parlava di Miotto si può solo intuire o ipotizzare. E peraltro il generale sta per lasciare. Ma quel che è sembrato a molti uno sfogo proprio contro il vecchio pilota che, sei mesi fa, ebbe il coraggio di affrontare, nella sede di Libera un'agguerrita assemblea di pacifisti (anche allora la Difesa storse il naso), è sembrato anche un altolà a Biagio Abrate, l'uomo che di Camporini deve prendere il posto.
Fonte: Lettera22, il Riformista
7 gennaio 2011