La Rai fuori dal mondo?
Alberto Romagnoli
Il direttore generale della Rai Lorenza Lei ha annunciato un piano che rischia di portare la televisione pubblica “fuori dal mondo”, ridimensionando i rami d’azienda, come Rai Internazionale e Rai Med.
Mediterraneo, Medio Oriente, rapporti con i paesi del nord Africa: sono questi, secondo il nuovo responsabile della Farnesina Giulio Terzi, i "punti di forza" della politica estera italiana. Peccato che – poche ora prima che l'Ansa dettasse queste righe da Istanbul – il direttore generale della Rai Lorenza Lei annunciasse al consiglio di amministrazione un piano che rischia di portare la televisione pubblica "fuori dal mondo", ridimensionando i rami d'azienda (come Rai Internazionale e Rai Med) proprio piu' impegnati nel racconto dell'Italia all'estero. A cui si aggiunge l'intenzione di ridurre il budget degli uffici di corrispondenza. Nessuno si nasconde – nemmeno i giornalisti della Rai ed il loro sindacato – che bisogna stringere la cinghia. Ma che il risparmio cominci proprio da qui, e senza nemmeno specificare quanto e come, e' piuttosto sorprendente.
Nel frattempo per fare pubblicita' alla sua nuova rete "all news" Mediaset annuncia che avra' corrispondenti da New York, Londra, Bruxelles e Gerusalemme. Per anni il principale gruppo televisivo privato ha fatto concorrenza al tv pubblica – in materia di informazione – sulla cronaca (soprattutto nera) e sulla politica. Ma – evidentemente – ha compreso di non potere piu' fare a meno degli strumenti per una copertura piu' adeguata degli esteri. Cosi' come Sky News 24 oppure – per restare ai canali in italiano – Euronews. Gli spettatori in grado di capire l'inglese (e sono sempre di piu') sanno che persino la conservatrice Margaret Thatcher, che ha privatizzato tutto il possibile quando era al governo, si e' ben guardata dal toccare la BBC ed il suo ruolo di "ambasciatrice" della politica (e della cultura) britannica. Dopo aver visto che la CNN abbassava l'audio al momento degli applausi rivolti dal consiglio di sicurezza dell'Onu all'intervento (contro la guerra in Iraq) del suo ministro degli esteri il presidente Chirac si convinse della necessita' di una rete informativa "24 ore su 24" in francese. France 24 ha aggiunto nel gennaio scorso ai suoi due canali (in francese e inglese) un terzo in arabo. Non se n'e' pentita … vista la domanda d'informazione provocata dalle rivoluzioni arabe. Dove un ruolo di primo piano ha avuto Al Jazeera, talmente convinta della necessita' di far conoscere il proprio punto di vista sugli eventi mondiali da aver avviato anche un servizio per i Balcani. Insomma, a pochi chilometri dalle frontiere orientali dell'Italia. Last but not least … la televisione di stato cinese: ha appena preso in leasing 30.000 metri quadri al numero 1099 di New York Avenue (a New York, non a Pechino). Obiettivo, raccontare la Cina (e non solo) agli americani (e non solo) per sei ore al giorno in inglese. Un secondo studio e' in allestimento a Nairobi, perche' l'Africa e' – notoriamente – un'altra parte del mondo che ai cinesi interessa (e molto).
Credo non sia necessario andare oltre con gli esempi per spiegare che il problema dunque non riguarda solo la Rai ed i suoi dipendenti (a cominciare dallo sparuto gruppo di corrispondenti dall'estero). Se davvero – come si sente ripetere sempre piu' spesso – per uscire dalla crisi l'Italia ha bisogno di grandi aziende, della stessa stazza dei concorrenti internazionali, il concetto vale anche in campo televisivo. Dove non basta la sempre piu' imponente disponibilita' di immagini (tramite le agenzie – per altro soprattutto anglosassoni – ed internet) a coprire l'attualita' del mondo. Se bastasse davvero solo il "taglia e cuci" delle eveline – come credono anche alcuni direttori di telegiornali italiani – non si capirebbe perche' tutti si danno tanto da fare ad avere propri giornalisti in giro per il mondo, a dimostrare che sono la' dove le cose succedono (come il servizio pubblico – per altro – ha scelto fin dall'inizio della sua storia, facendone uno dei suoi elementi piu' caratteristici). Perche' anche se le immagini – sempre piu' spesso – possono sembratre le stesse ….ognuno sente il bisogno di raccontarle alla propria maniera. Non solo nella propria lingua, ma anche attraverso il filtro dei propri valori (giornalistici e non solo), della propria esperienza e competenza. E cosi' si risponde anche a chi pensa che – in fondo – con un buon inviato speciale (per qualche giorno) si possa sempre fare a meno di un corrispondente (tutto l'anno). Non facciamoci la guerra fra colleghi: in un' epoca in cui le edizioni. gli aggiornamenti sui siti, si susseguono 24 ore su 24. ovviamente c'e' spazio (e lavoro) per tutti, inviati e corrispondenti. Questi ultimi – pero' – vivendo a lungo in un paese sono in grado di spiegare le ragioni di un voto (o di una guerra) senza limitarsi a proclamarne, alla fine, solo i risultati (delle elezioni e della guerra). Se c'e' da produrre di piu' (agli stessi costi), se bisogna razionalizzare gli impegni (anche economici), non saranno certo i corrispondenti della Rai a tirarsi indietro.
A patto di essere convinti che nella macchina dell'informazione i corrispondenti non sono un accessorio, un lusso di cui si puo' fare a meno tanto … si va in onda lo stesso ! Sono un elemento del motore, una marcia in piu' lungo la strada – sempre in salita – per raccontare fatti di prima mano. Che contano sempre di piu' di quelli raccontati dagli altri. Altrimenti non si capirebbe perche' gli altri spendono tante energie (e soldi) per raccontare il mondo. Per non restare – appunto – fuori dal mondo. Un rischio che la Rai (e nemmeno l'Italia) puo' permettersi, soprattutto adesso.
Fonte: www.articolo21.it
25 Novembre 2011