La prima volta
Paola Caridi - invisiblearabs.com
Il suono di queste due parole, ripetuto fino all’ossessione in tutti i seggi elettorali del Cairo, è la colonna sonora del referendum costituzionale che oggi ha sancito l’inizio della Seconda Repubblica egiziana.
Comunque vada a finire. Awal marra, la prima volta. La prima volta che vado a votare, la prima volta che – presentando semplicemente la mia carta d’identità – posso mettere una scheda dell’urna pensando di contare qualcosa. Di essere un cittadino. Questo è il pensiero comune del popolo indistinto che da stamattina presto si sta mettendo in fila, in fila per ore e ore, una, due, tre, fino alle cinque ore passate in fila da Wael Ghonim (vi ricordate? Il manager di Google che fu detenuto dalla Sicurezza dello Stato per quasi due settimane). Ho visto centinaia e centinaia di persone. Di uomini e donne. Di ragazze e ragazzi. Di anziani, molto anziani, un uomo senza una gamba, ciechi, una donna tanto malata da doversi sedere appena arrivata in cima alle scale della scuola di Shubra. Giovani madri con neonati di appena un mese. Madri anziane, claudicanti, accompagnate dalle figlie. Bambini spauriti, di fronte alla folla ai seggi, assieme a genitori orgogliosi di poter mostrare il dito sporco di inchiostro rosa fucsia, simbolo del voto e della cittadinanza.
Un modo rapido per non far votare la gente due volte. E il popolo egiziano, oggi, è andato a votare in massa. Awal marra, perché prima le elezioni erano truccate, e ora è diverso, dopo la rivoluzione. E’ stata una giornata piena di flash. Di fermo immagine. La ragazza che, come tanti altri, non porta solo la sua carta d’identità, ma anche una penna. Non si sa mai, avrà pensato, meglio essere previdenti, così son sicura di poter votare. Il vecchio con la tunica bianca, candida, sdentato, che esce e mostra il suo dito sporco di inchiostro: awal marra, anche per lui. Il ragazzo di Tahrir, con la maglia gialla su cui era scritto “Io amo l’Egitto”: ha votato no. Anzir, per la precisione, La, taban. No, ovviamente. La signora di una certa età che mi guarda e mi chiede perché non voto; le rispondo che non sono egiziana (e come mi è dispiaciuto non esserlo, oggi…), e lei, senza badarci, mi chiede: sì, ma tu che voteresti allora, sì o no, chiedendomi consiglio su cosa fare. Ho visto un bambino bello, avrà avuto cinque anni, non di più, accompagnare la madre al seggio di una scuola di Doqqi, Cario centro, piccola e media borghesia. Gli ho chiesto, scherzando, se venisse a votare anche lui. La madre, di rimando, mi ha detto: “Deve vedere com’è andare a votare”. Tradotto: deve vedere la libertà, per poterla difendere. A Sayyeda Zeinab, quartiere popoloso, gli egiziani sciamavano nella scuola vicino alla moschea sorridenti, felici, emozionati. Tutti hanno raccontato cosa avevano scelto. Se sì o no. E hanno raccontato anche perché avessero fatto quella scelta. La sensazione è che, nonostante sia ben chiara l’indicazione fornita dai partiti e dai movimenti, in molti, moltissimi abbiano votato di testa loro. Ho visto ragazze chiaramente laiche e beneducate votare Sì, anche se i ragazzi di Tahrir sono per il no. Ho visto islamiste fare il contrario, nonostante i Fratelli Musulmani avessero indicato il Sì. E quando dico ho visto, vuol dire proprio vedere: perché il voto era pubblico, si barrava il Sì o il No di fronte a tutti, Con estremo orgoglio e libertà. Voto veloce, file interminabili, aria di festa. E qualche impreparazione. Nirvana mi ha avvicinato al seggio aperto in una scuola di Mohandessin. Scuola stracolma, la fila fuori dal cancello, lungo le scale, le balconate. E’ una avvocata, e chiedeva di parlare con i giornalisti, perché le schede non avevano il timbro del seggio elettorale. Lei aveva protestato, poi il presidente del seggio le ha promesso che le schede sarebbero state timbrte quando avessero aperto le urne. Un escamotage alla egiziana, dovuto – mi sembra – più alla fretta con la quale il referendum è stato indetto, che non a irregolarità fondate sulla malafede. Il vero elemento interessante è però il comportamento di Nirvana, sportivamente elegante, occhiali alla moda, veletto lilla, bellissima ragazza. Lei era lì non perché era una ragazza di Tahrir, e non perché apparteneva a un movimento ‘rivoluzionario’, come si chiamano i movimenti dei ragazzi di Tahrir. Solo perché è una egiziana e vuole proteggere la democrazia. Responsabilità individuale, da singola cittadina. “Lo sai?”, mi ha detto, “è la prima volta che sento, nel profondo, l’orgoglio di appartenere a questo paese”.
Sui visi degli egiziani, oggi, c’era lo stesso orgoglio allegro, forte, di chi sta in piedi e non piega più la schiena. Sì, No, uno accanto all’altro, mentre ancora una volta erano le donne, anche stamattina, le più convinte e decise. Mi sa tanto che le donne egiziane segneranno anche stavolta, come all’inizio del Novecento, il cambiamento di questo paese. Oggi il Nuovo Egitto era bellissimo, lontano dai riflettori. Ha vissuto la sua grande giornata: ha segnato l’inizio di un pezzo di cammino, difficile, ma entusiasmante. Indietro non si torna, nonostante i rischi di una controrivoluzione.
Fonte: http://invisiblearabs.com
19 Marzo 2011