«La politica fa la guerra alla pace»
Stefano Milani
Parte da Assisi il duro atto di accusa del movimento per la pace contro la politica sempre più assente e irresponsabile.
«La politica fa la guerra con la pace». Un ossimoro, una provocazione se non fosse tutto così tragicamente vero. Parte da qui l'invettiva di Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, diretta al mondo politico «a cui non interessa dei pacifisti e delle loro battaglie». Come dargli torto. Basta guardare a questo inizio di campagna elettorale: alzi la mano chi è riuscito a trovare tra i temi di dibattito quello della pace. L'occasione per parlare di questo, ma anche per fare il punto sullo stato di salute del movimento pacifista, è un seminario, il 24esimo, organizzato ieri ad Assisi e aperto a tutte le organizzazioni no war italiane. Coincidenza ha voluto che a poca distanza dalla culla francescana ci sia anche Walter Veltroni, a Perugia per una delle tappe del suo tour elettorale. Potrebbe fare una piccola deviazione di programma, appena una ventina di chilometri. E qualcuno dei presenti ci spera pure nella carrambata e invece no, il leader del Pd rimane nel capoluogo umbro a parlare di lavoro, del made in Italy e dei sondaggi che migliorano. E la parola «pace» non la pronuncia neanche stavolta. Neanche dopo la lettera aperta inviatagli due giorni fa da Flavio Lotti e Grazia Bellini, i coordinatori del Tavolo della pace nella quale si chiedeva perché temi così importanti non riescono a trovare spazio nell'agenda politica italiana . Interrogativi che anche ieri sono tornati a galla: «Marceremo ancora da Perugia ad Assisi? Per ottenere cosa? A cosa serve se la politica è sempre più cieca e sorda». Per non rimanere né ciechi né sordi hanno mandato in «missione» ad Assisi Lapo Pistelli, responsabile Esteri del Pd, alla ricerca di «un dialogo fruttuoso» con le associazioni e i comitati. E lui ammette, senza colpo ferire, che nella campagna elettorale parlare di pace non ha molto appeal, insomma non determina spostamenti di voti. Pistelli giura però che «il sentimento che lega il popolo pacifista è lo stesso del Pd». Sarà, ma nel programma veltroniano le questioni legate alla pace sembrano, per usare un eufemismo, piuttosto timide. Appaiono temi come il multilateralismo, l'integrazione europea, la riforma della cooperazione. Tutti condivisibili dai pacifisti, il problema però è quando si parla di Palestina, Kosovo, Somalia, Birmania, Libano, Afghanistan, Iraq, dell'aumento delle spese militari, del rifinanziamento delle missioni all'estero, dell'ampliamento delle basi militari, il Dal Molin in testa. E' qui che i due mondi non si toccano. E allora «serve più coraggio, più responsabilità da parte di chi ci governa», ribatte Lotti. «E poi – aggiunge – con la politica, ci piaccia o no, bisogna dialogare». Anzi sarà proprio il «pacifismo politico», quello nato negli anni '80, «lo strumento, il mezzo e l'obiettivo per raggiungere la pace». Una politica dal basso, che non ambisce a sedere sugli scranni parlamentari. L'obiettivo è far nascere anche da noi una vera cultura della pace. Oggi quell'obiettivo appare lontano, come pure quel 7 ottobre scorso quando oltre 200.000 persone marciarono da Perugia ad Assisi anche per costruire, ricorda Flavio Lotti, «una politica nuova e una nuova cultura politica nonviolenta fondate sui diritti umani». Un percorso che non va interrotto proprio nell'anno, il 2008, in cui ricorrono i 60 anni dalla dichiarazione universale dei diritti umani e della Costituzione e che è l'anno europeo del dialogo interculturale. I movimenti tendono la mano e vogliono «fare pace con la politica». Spetta ora alla politica stringere quella mano.
Fonte: Il Manifesto
01 marzo 2008