“La pace in Medio Oriente è un dovere”: alla vigilia della Marcia riapre l’Onu dei Popoli


Elisabetta Norzi


Seconda giornata di lavori dell’Assemblea, dedicata oggi al conflitto tra israeliani e palestinesi. Tra gli altri Yousef Nasser, sindaco di Birzeit, Sarah Ozacky dell’Isitituto Van Leer di Gerusalemme, Anat Marnin Shaham e Shireen Mohmmed Isawi dell’Associazione familiari delle vittime.


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“La pace in Medio Oriente è un dovere”: alla vigilia della Marcia riapre l’Onu dei Popoli

La guerra tra israeliani e palestinesi dura da troppo tempo. Parte da qui la seconda giornata di lavori dell’Assemblea dell’Onu dei Popoli dedicata al “Dovere di fare pace in Medio Oriente”. Un confronto tra rappresentati della società civile per raccogliere proposte e progetti concreti su come costruire la pace. Sul palco del Palazzo dei Priori si sono quindi alternati gli interventi di israeliani e palestinesi, semplici cittadini e membri di associazioni impegnate per i diritti e la giustizia in Medio Oriente.

“La situazione oggi è critica – ha sottolineato Yousef Nasser, sindaco di Birzeit, economista, docente Universitario -, i palestinesi sono pessimisti in questo momento: la pace nel 1993 non è riuscita, ed è fallita perché il governo israeliano non l’ha voluta davvero. In questi anni la sofferenza è sempre aumentata: il muro e un sempre crescente numero di coloni. Il punto di partenza dovrebbe ripartire dal 1948: Israele dovrebbe riconoscere che allora ha portato avanti una vera e propria pulizia etnica”. 

“Sono ebrea, vivo a Tel Aviv, e non sono qui per rappresentare il mio governo – ha sottolineato invece Sarah Ozacky dell’Isitituto Van Leer di Gerusalemme  -, io rappresento i tanti ebrei che sono stanchi di questo conflitto. La soluzione c’è, ma c’è bisogno di un grande compromesso sia per i palestinesi che per gli israeliani. Penso che dobbiamo lasciare un attimo il passato da parte, e concentrarci oggi solo sul futuro, altrimenti non arriveremo da nessuna parte”.

Una storia di spargimento di sangue e di sofferenza, quella del Medio Oriente, che “si può superare solo con una lotta comune di israeliani e palestinesi – ha detto  Allam Jarar, Coordinatore Pingo, rete delle ong Palestinesi – per creare ponti di pace insieme, con il rispetto dei diritti reciproci”. E con l’aiuto della società civile dell’Europa: “abbiamo bisogno – ha concluso Allam – che l’Occidente sostenga il dialogo per portare a termine la fine dell’occupazione israeliana e il rispetto dei diritti”.

E’ stata poi affrontata la questioni di Gaza e della Cisgiordania. “Con il muro Israele ha bloccato Gaza in una prigione – ha spiegato Dina Nasser, consulente sanitaria della Juzoor Health Foundation -. Non è riuscito a fare lo stesso in Cisgiordania perché lì ci sono troppi coloni. Ma sappiate che il muro si attraversa solo superando dei cancelli gialli, e in determinati orari. Se una donna incinta ha le doglie all’ora sbagliata non riesce a raggiungere l’ospedale; nelle ore di punta ci si mette due ore a passare il check point”.

E poi le vittime di questo lungo conflitto. Sul palco sono salite Anat Marnin Shaham, israeliana, e Shireen Mohmmed Isawi, palestinese, che fanno parte entrambe della Parents Circe families, l’associazione delle vittime. “Noi lavoriamo insieme – ha sottolineato Anat – per trovare la strada della riconciliazione. La vendetta non porta a niente perché il dolore è universale, è lo stesso per tutti, è qualcosa che ci unisce e che dobbiamo combattere insieme”. Sia Anat che Shireen hanno perso un fratello durante la guerra. “Il nostro principale impegno come associazione – ha detto Shireen – è quella di lavorare nelle scuole, con i giovani, per sensibilizzarli ed educarli alla pace e alla tolleranza”.

“Bisogna porre fine all’occupazione militare israeliana che dura da oltre 40 anni – ha sottolineato Luisa Morgantini, vicepresidente del Parlamento Europeo -. E’ dal 1980 che esiste una risoluzione precisa: due popoli e due stati. Ma uno stato palestinese ancora non c’è. Al suo posto muri e sempre più coloni. In tutto ciò, la responsabilità della comunità internazionale è drammatica”.

“Tra l’informazione che passa in tv sulla cronaca internazionale e quella che si è fatta oggi qui – ha detto il giornalista Riccardo Icona che ha seguito i lavori di oggi e ha concluso la mattinata con il suo intervento – c’è un vuoto enorme, che va riempito. Non solo per il valore delle testimonianze portate qui, che sono storie di vita, ma anche perché questa è la dimostrazione che si può seguire ciò che accade nel mondo anche dal basso”.

 

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