La nave Diciotti a Catania. Migranti e militari ostaggi
Avvenire
Toninelli autorizza l’approdo. Ma Salvini ferma lo sbarco delle 177 persone soccorse dalla Guardia costiera italiana. Aperta un’inchiesta dalla Procura di Agrigento sul caso della nave Diciotti.
Sono arrivate alle 23.30 nel porto di Catania lunedì sera le 177 persone soccorse cinque giorni fa in mare dalla nave Diciotti della Guardia costiera italiana.
La nave militare resterà ormeggiata ma non ci sarà nessuno sbarco: nessun profugo, ribadiscono più fonti, lascerà il pattugliatore della Guardia Costiera fino a quando non si troverà un accordo sulla ripartizione tra i Paesi dell’Unione europea dei migranti soccorsi.
A bordo ci sono diversi minorenni e 28 di questi, secondo i dati riportati da Save the Children, sarebbero non accompagnati. Sul molo di levante è presente a Catania solo personale della guardia costiera, della polizia di Stato, della guardia di finanza e dei carabinieri, nessun volontario o appartenenti alla Protezione civile per l’assistenza allo sbarco.
Il porto di Catania era stato indicato già nel pomeriggio di lunedì dal ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli, a cui risponde la Guardia costiera, ma il ministero dell’Interno ha poi diffuso una comunicazione per chiarire la situazione: «Il ministro Salvini non ha dato né darà alcuna autorizzazione allo sbarco dei migranti sulla nave Diciotti, finché non avrà certezza che i 177 andranno altrove».
Già lunedì si era avuta la conferma che erano in corso alcuni negoziati nell’Unione Europea per trovare un accordo sull’accoglienza dei migranti a bordo della Diciotti: per il momento, comunque, non è stata annunciata alcuna soluzione.
Nel frattempo la Procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta per “conoscere il tentativo di ingresso” dei profughi “avvenuto lo scorso 16 agosto al largo dell’isola di Lampedusa, tratti in salvo dalla motonave Diciotti e a oggi ancora ospitati sulla medesima motonave della Guardia Costiera”. Lo ha reso noto il procuratore Luigi Patronaggio.
L’indagine è affidata alla Capitaneria di porto di Porto Empedocle e alla squadra mobile di Agrigento: essa “punta a individuare scafisti e “a conoscere le condizioni dei 177 migranti a bordo della unità navale militare”.
La nave Diciotti e la Marina italiana si trovano coinvolte, loro malgrado, in un gioco al massacro sulla pelle non solo dei naufraghi e dei militari italiani.
Come testimoniato dal primo luogotenente Antonello Ciavarelli, delegato del Consiglio Centrale della Rappresentanza Militare (Cocer) della Guardia costiera italiana in un’intervista al Corriere: “È incomprensibile. Anche imbarazzante. La nave Diciotti è una nave militare dello Stato italiano – ha commentato – e le viene impedito di ormeggiare in un porto italiano! Noi militari ovviamente obbediamo al governo, però ci aspettiamo anche una politica più risoluta nel dare disposizioni!”, il tutto mentre sui social network si moltiplicano le accuse nei confronti dell’ammiraglio Giovanni Pettorino, comandante della Guardia costiera italiana.
È intervenuto anche il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, che dopo aver preso atto del quinto giorno di permanenza forzata dei 177 migranti salvati ha informato le alte cariche dello Stato con le sue valutazioni sul caso. Per il Garante si tratta di un caso di “rilevanza umanitaria”, per questo ha avviato un’interlocuzione istituzionale.
PERCHÉ LA NAVE DICIOTTI ERA RIMASTA BLOCCATA IN MARE PER CINQUE GIORNI?
Fonti vicine al governo avevano confermato già sabato sera ad Avvenire l’avvio di colloqui tra la Farnesina e l’Unione europea e il ministro degli Esteri, Mario Moavero Milanesi, alla ricerca di una soluzione condivisa per lo smistamento dei naufraghi.
Lunedì mattina fa la conferma attesa con una nota della Farnesina che “ha ufficialmente e formalmente investito della questione” della nave Diciotti con 177 migranti a bordo “la Commissione europea, affinché provveda a individuare una soluzione in linea con i principi di condivisione tra Stati membri dell’Unione Europea”.
Per il ministro Moavero Milanesi: “Il governo ritiene indispensabile che la Commissione assuma direttamente l’iniziativa, vocata a individuare i Paesi Ue disponibili ad accogliere le persone salvate in mare”.
I migranti sono bloccati sulla nave Diciotti perché – come in diversi casi simili accaduti negli ultimi mesi con la nave Aquarius – il governo italiano si rifiuta di accoglierli tutti e vuole che altri paesi dell’Unione Europea prendano una parte dei migranti prima di autorizzare l’eventuale sbarco. Nel pomeriggio di domenica, Salvini ha anche minacciato che in assenza di un accordo con gli Stati europei i migranti a bordo della Diciotti verranno riportati in Libia.
Il risultato, paradossale, è che i porti italiani, almeno per il momento, restano off limits anche per uno dei corpi nazionali più rappresentativi del Paese: la Guardia Costiera. Ma il gioco delle parti del vice premier leghista è comunque molto pericoloso, perché portato avanti sulla pelle di naufraghi in mare ormai da una settimana. Senza contare il rischio corso da un equipaggio italiano, “colpevole” soltanto di aver compiuto il proprio dovere. Perché è questo, al netto della tragedia umanitaria, il risvolto più preoccupante della vicenda: «La Guardia costiera gode di un patrimonio identitario accumulato negli anni grazie a un lavoro prezioso. Chi sta tutti i giorni in mare ha bisogno di avere la certezza di una sicura organizzazione a terra – avverte Vittorio Alessandro, ex ammiraglio, marinaio di lungo corso e, fino a poco tempo fa, responsabile delle relazioni esterne delle Capitanerie di porto –. Il mio timore è che questi sobbalzi istituzionali, offerti in pasto all’opinione pubblica, possano generare attacchi ingiustificati e minare la tranquillità di chi svolge un lavoro già di per sé molto difficile. Bisogna difendere i soccorsi e chi li svolge, le decisioni politiche vengono dopo. Ma in mare lo scenario richiede il massimo della solidarietà».
Restano da chiarire i dettagli sul comportamento della Marina maltese e sull’operazione di soccorso da parte della Guardia costiera. «Ma tutto questo mi sembra meno importante rispetto allo stato attuale della situazione – continua Alessandro –. Siamo all’inverosimile: è assurdo che una vicenda poco chiara dal punto di vista burocratico debba costare così tanto in termini umani, psicologici e anche economici». D’altra parte «appare evidente che la nave italiana ha compiuto quello che le leggi prevedono in caso di soccorso: il comandante di zona ha la responsabilità della valutazione dell’entità della crisi e, mantenendo i rapporti gerarchici, deve compiere tutti gli atti necessari alla risoluzione della situazione di pericolo – ragiona ancora l’ammiraglio –. La mia idea è che l’emergenza non sia certo intervenuta nel momento in cui la nave italiana l’ha letta. Perché su un gommone che porta 190 persone non si fa una navigazione tranquilla, anche se il mare non è mosso. Mi stupisce che Malta non abbia valutato l’entità del pericolo o le situazioni di criticità sanitarie che invece ha potuto verificare la motovedetta italiana».
In questi casi la procedura è sempre la stessa e impone che i profughi, una volta soccorsi, siano trasportati nel porto sicuro più vicino (in questo caso Lampedusa).
Ma senza un nuovo accordo con i Paesi Ue, è difficile immaginare una soluzione in tempi brevi. A meno che non intervenga il Quirinale come già avvenuto nel luglio scorso sempre con la Diciotti, quando il presidente della Repubblica sbloccò l’impasse “liberando” 67 migranti trattenuti a bordo del pattugliatore in attracco a Trapani. Nel frattempo Danilo Toninelli, ministro dei Trasporti e riferimento politico delle Capitanerie, non ha ancora speso una parola su quanto sta accadendo. Ma la tempistica non è un particolare e un’imbarcazione come laDiciotti è del tutto inadeguata al lavoro in cui si trova costretta: «Il soccorso ha come caratteristica la rapidità – ricorda Alessandro –, non solo nel trasbordo. Non parliamo di una nave grande, ma di un’imbarcazione che non è fatta per lunghe attese in mare con 177 profughi in condizioni sanitarie precarie». E più tempo trascorrerà in mare, più alto sarà il rischio.
Matteo Marcelli e Ilaria Solaini
lunedì 20 agosto 2018
Avvenire