La musica che dice NO alla guerra
Atlante delle Guerre
La storia della musica contro la guerra, sociale e per così dire ‘impegnata’ è lunga e parte da lontano.
La musica è figlia del proprio tempo e si inserisce nei contesti. La storia della musica contro la guerra, sociale e per così dire ‘impegnata’ è lunga e parte da lontano.
Nella musica popolare, ad esempio, molte sono le melodie adattate con parole diverse ai vari contesti storici vissuti. Melodie che ad esempio dalla Prima Guerra Mondiale, sono state riadattate ad altri contesti o a battaglie di altri periodi storici.
Gli esempi di brani impegnati sono moltissimi e si snodano nel tempo, ma è in particolare dagli anni Sessanta del Novecento che la musica contro la guerra è arrivata alla ribalta della scena musicale occidentale.
Da Bob Dylan a Bruce Springsteen, dai Black Sabbath ai Metallica, da Francesco Guccini a Jovanotti, da John Lennon ai Pink Floyd, centinaia di cantanti di Paesi diversi e di stili musicali opposti si sono espressi contro i conflitti armati, mostrandone e denunciandone gli orrori.
Qui possiamo azzardare una serie di suggerimenti: alcuni pezzi che in una playlist pacifista non possono mancare.
Fabrizio De André con La guerra di Piero è sicuramente uno degli esempi italiani più calzanti. Incisa nel 1964, si basava sui ricordi dello zio di Fabrizio, Francesco, che aveva fatto la campagna d’Albania nel 1940. Il pezzo divenne uno dei più celebri inni dell’antimilitarismo italiano, per la sua capacità di descrivere l’assurdità dei conflitti in cui due uomini uguali si devono sparare solo perché possiedono ‘la divisa d’un altro colore’. Per rimanere in Italia merita ricordare anche Generale di Francesco De Gregori. Uscita nel 1978 la canzone prendeva spunto dall’esperienza del cantautore romano durante il servizio militare prestato tra gli alpini della Val Venosta, in Alto Adige, ma con valenza universale. Infine tra gli italiani non si può non citare Il Disertore, canzone francese ma resa celebre in Italia da Ivano Fossati.
Lasciando l’Italia, altra canzone simbolo è Imagine di John Lennon, sicuramente il primo testo che viene in mente quando si parla di pacifismo. L’autore immagina infatti un mondo senza più guerre né senza più distinzioni di razza, di sesso o di religione.
Un altro pezzo da inserire in playlist è Zombie dei Cranberries, tratta dall’album “No Need to Argue” del 1994. Il brano denuncia le violenze causate dal conflitto in Irlanda del Nord all’indomani dell’attentato terroristico organizzato dall’Ira a Warrington, in Gran Bretagna.
Anche Sunday bloody sunday degli U2, scritta da Bono e inserita nell’album War (1983) tratta del tema Iralnda del Nord. Il testo si riferisce alla “Domenica di Sangue” del 30 gennaio 1972 a Derry (Londonderry). L’esercito del Regno Unito sparò sui partecipanti ad una manifestazione, uccidendo 14 persone disarmate e ferendone altre 14.
War pigs dei Black Sabbath, inserita nel celebre album “Paranoid” (1970), si scaglia contro le guerre, da sempre combattute dai poveri, ma causate dai ricchi e dai potenti (war pigs) per salvaguardare i loro interessi. Impossibile poi non citare Bob Dylan con Masters of war, tratta dall’album The Freewheelin’ del 1963.
Alcuni periodi storici hanno smosso di più le coscienze dei cantanti nella direzione del pacifismo.
Uno degli ultimi casi di mobilitazione del mondo della musica sul tema della guerra è nel 1991, in occasione della Guerra del Golfo.
In quell’occasione, infatti, il figlio di John Lennon, Sean, insieme a Lenny Kravitz, Peter Gabriel, Tom Petty, MC Hammer, Bonnie Raitt, LL Cool J, Run Dmc, Cindy Lauper, Dave Stewart, Jazzie B, Bruce Hornsby, Randy Newman, Little Richard, Iggy Pop, Terence Trent D’ Arby, Little Steven, Duff McKagan dei Guns’ n’ Roses, Al Jarreau e Sebastian Bach degli Skid Row, realizzò una nuova versione del singolo Give Peace a change, scritto dal padre e da Yoko Ono.
Nello stesso anno, anche Michael Jackson, assieme a molte altre star della musica nera americana, come Chuck D. dei Public Enemy ed LL Cool J, si erano mobilitate .
Tra le voci che si levarono contro la guerra del Golfo anche quella di Sting, che aveva dichiarato: “la guerra è una orribile tragedia, nessuno dovrebbe mai accettarla”.
Il NO alla guerra in Vietnam in musica
La musica ha sempre accompagnato le guerre americane e il Vietnam non fa eccezione. Ma se, negli altri casi la maggioranza dei canti si potevano classificare come inni patriottici, in quello del Vietnam la maggior parte delle canzoni rientra nella categoria anti-anziché pro-guerra.
Simbolo dei movimenti per la Pace del periodo è la canzone Give peace a chance della Plastic Ono Band. Questo singolo fu scritto nel 1969 da John Lennon durante la protesta pacifista “Bed-in” organizzata con Yoko Ono contro la guerra nel Vietnam. Durante la loro luna di miele, invece di un sit-in la coppia decise di organizzare un bed-in, rimanendo a letto per due settimane ed invitando giornalisti e artisti nella loro camera d’albergo prima ad Amsterdam e poi a Montreal.
Anche Blowing in the wind di Bob Dylan, scritta nel 1962 e pubblicata l’anno successivo nell’album “The Freewheelin’ è diventata un simbolo. Questo brano è considerato da molti il manifesto della generazione dei giovani statunitensi disillusi dalla politica portata avanti negli anni cinquanta e sessanta dal proprio Paese e sfociata dapprima nella guerra fredda e poi nella guerra del Vietnam. Un altro brano simbolo è Where are you now my son? di Joan Baez, registrata ad Hanoi.
Anche se i rocker maschi bianchi hanno ricevuto la maggior parte dell’attenzione, la musica anti-guerra dell’era del Vietnam era molto più ampia e variegata. Gli afro-americani vi hanno contribuito con Martha Reeves e Marvin Gaye.
La musica contro l’apartheid
Anche durante l’anomala guerra passata alla storia come Apartheid, il metodo di segregazione razziale made in Sud Africa, la musica di liberazione ha alimentato e unito il movimento che si ribellava al sistema. Nei 46 anni di lotta, la canzone è stata un atto di espressione che metteva in luce le ingiustizie.
Come ha osservato lo storico Grant Olwage, la musica di liberazione dell’era apartheid era una risposta a una storia di oppressione che risale a molto tempo prima dell’attuazione dell’Apartheid.
Per ogni fase di evoluzione dei movimenti di resistenza la musica è stata centrale per la loro comunicazione e per la loro sopravvivenza.
Durante il periodo della resistenza violenta degli anni Sessanta del Novecento, per esempio, la musica era spesso considerata come “arma di lotta”. Una canzone chiamata “Sobashiy’abazali” (“Lasciamo i nostri genitori”) è diventata una delle canzoni più popolari cantate nei campi di addestramento sudafricani. I testi evocano la tristezza di lasciare la casa, così come la persistenza dei combattenti di libertà:
“Lasciamo i nostri genitori a casa / entriamo e usciamo da paesi stranieri / luoghi dove i nostri padri e le madri non lo conoscono / dopo la libertà diciamo addio, addio, addio casa / andiamo in paesi stranieri i padri e le madri non sanno / dopo la libertà “(Olwage pp. 169).
La musica era più accanita ed energica, con ritmi più veloci e più militaristici e accompagnanti azioni di marcia tipiche dei soldati.
La danza Toyi-Toyi è un altro simbolo della resistenza all’apartheid e consiste in un canto spontaneo eseguito in gruppo.
L’era dell’apartheid ha portato la musica e i suoi musicisti neri sudafricani fuori dal Paese. L’apartheid vietava infatti la diffusione dei brani di musicisti in esilio o che cantavano in opposizione al regime razziale.
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