È un’osservazione di senso comune che lo Stato Islamico sia solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di risvegli anticoloniali (stiamo assistendo alla riconfigurazione dei confini tracciati arbitrariamente dalle grandi potenze dopo la Prima guerra mondiale), e allo stesso tempo un nuovo capitolo della resistenza ai tentativi del capitale globale di minare il potere degli Statinazione. A provocare tanto timore e sgomento è invece un altro tratto del regime dello Stato Islamico: le dichiarazioni delle autorità dell’Is indicano chiaramente che, a loro giudizio, l’obiettivo principale del potere statale non è il benessere della popolazione (sanità, lotta alla denutrizione ecc.) — ciò che realmente conta è la vita religiosa, che ogni aspetto della vita pubblica si conformi ai precetti religiosi. È per questo che l’Is rimane più o meno indifferente alle catastrofi umanitarie che avvengono all’interno dei suoi confini — il suo motto è «occupati della religione e il benessere provvederà a sé stesso». Qui appare lo scarto tra l’idea di potere praticato dall’Is e il concetto, occidentale e moderno, di «biopotere», di potere che regola la vita: il califfato dell’Is rifiuta totalmente la nozione di biopotere.
Ciò dimostra che l’Is è un fenomeno premoderno, un disperato tentativo di rimettere indietro le lancette del progresso storico? La resistenza al capitalismo globale non può ricevere impulso dal recupero di tradizioni premoderne, dalla difesa di forme di vita particolari — per il semplice motivo che un ritorno alle tradizioni premoderne è impossibile, considerato che la resistenza alla globalizzazione presuppone l’esistenza della globalizzazione stessa: chi si oppone alla globalizzazione in nome delle tradizioni che essa starebbe minacciando lo fa in una forma che è già moderna, parla già il linguaggio della modernità. Se il contenuto di queste restaurazioni è antico, la loro forma è ultramoderna.
Allora, anziché considerare l’Is come un caso estremo di resistenza alla modernizzazione, dovremmo semmai concepirlo come un caso di modernizzazioneperversa. La nota fotografia che ritrae Al Baghdadi, leader dell’Is, con uno scintillante orologio svizzero al polso, è in questo senso emblematica: l’Is è ben organizzato in fatto di propaganda sul web e di operazioni finanziarie, ecc., malgrado faccia ricorso a queste pratiche ultramoderne per diffondere e imporre una visione ideologicopolitica che (più che conservatrice) appare come un disperato tentativo di stabilire chiare delimitazioni gerarchiche, in primo luogo quelle che disciplinano la religione, l’istruzione e la sessualità (regolamentazione strettamente asimmetrica della differenza sessuale, interdizione dell’istruzione laica…). Tuttavia, anche quest’immagine di organizzazione fondamentalista severamente disciplinata e regolata non è priva di ambiguità: l’oppressione religiosa non è forse (più che) integrata dalla condotta delle unità militari locali dell’Is? Mentre l’ideologia ufficiale dello Stato Islamico fustiga il permissivismo occidentale, nella loro prassi quotidiana i reparti dell’Is compiono delle vere e proprie orge carnevalesche (stupri di gruppo, torture e uccisioni, rapine ai danni degli infedeli). La radicalità senza precedenti dell’Is riposa in questa brutalità ostentata, mostrata apertamente.
di SLAVOJ ZIZEK, la Repubblica
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Fonte: www.dirittiglobali.org
23 febbraio 2015