La miseria deve diventare illegale
Questa dura espressione dell’Abbé Pierre, fondatore delle comunità Emmaus, è stata scelta per ricordarlo a cinque anni dalla morte, 22 gennaio 2007, e a cento dalla nascita, 5 agosto 1912.
“Rendiamo illegale la miseria”. Questa dura espressione dell'Abbé Pierre è stata scelta come titolo dell'iniziativa per ricordarlo a cinque anni dalla morte (22 gennaio 2007) e a cento dalla nascita (5 agosto 1912), che si è svolta domenica 13 maggio a Roma, all'Auditorium Antonianum.
L'Abbé Pierre, per i più semplicemente “l'Abbé”, all'anagrafe Henri Grouès (foto), è stato frate cappuccino, partigiano della Resistenza francese e fondatore delle comunità Emmaus. Si è battuto con forza contro la miseria e l’ingiustizia, con quella che è stata definita “la collera dell'amore”, l'impossibilità cioè di tacere e sopportare le ingiustizie. Il cantautore Gianmaria Testa, intervenendo ieri sera, ha detto di apprezzare dell'Abbè proprio “le sue sonore incazzature”.
“Piuttosto che gli uomini muoiano legalmente, preferisco che vivano illegalmente” amava ripetere il fondatore di Emmaus e Renzo Fior, presidente di Emmaus Italia, sottolinea come lo spirito delle Comunità sia rimasto quello: “L'illegalità può diventare una scelta nonviolenta per poter riaffermare in maniera pubblica la dignità delle persone: Gandhi ci ha educato a disobbedire a leggi ingiuste che andavano contro la persona, ma era altrettanto pronto a pagarne le conseguenze: carcere, bastonature, violenze”.
La disperazione di tante persone nasce dalla profonda solitudine nella quale si trovano davanti ai problemi. “Bisogna riaffermare la priorità della persona. E la persona non può essere lasciata sola” prosegue Fior e così sul palco dell'Antonianum, salgono alcuni comunitari di Boves (Cuneo), Villafranca (Verona) e Roma che testimoniano come siano rinati nelle rispettive Comunità. Come abbiano ritrovato il senso della vita nel servizio agli altri, uscendo dal tunnel dell'alcool o della dipendenza dai videopoker, male moderno.
Avvenne così anche per Georges, il primo comunitario, parricida, al quale l'Abbè Pierre non fece solo un'offerta di aiuto, ma una richiesta concreta: “Aiutami a costruire case per i senza tetto”. Non una realtà assistenziale, con assistenti e assistiti, ma una comunità. Così iniziò Emmaus, in una Francia indifferente, dove piano piano le parole dell'Abbè Pierre iniziarono a colpire nel segno. Charlie Chaplin fu uno dei primi benefattori (2 milioni di franchi) e disse: “Non li regalo, li restituisco al vagabondo che sono stato e che ho incarnato”. Oggi le comunità di Emmaus sono 350 in 35 Paesi del mondo e 15 sono quelle presenti nel nostro Paese.
In tanti sono venuti ad omaggiare l'Abbè Pierre e tra questi Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, che ha ricordato la necessità di tornare all'intransigenza che aveva il fondatore di Emmaus: “Ci dicono che non ci sono soldi, ma le risorse quando si vuole si trovano. Bisogna solo riscrivere la gerarchia delle priorità e tornare alla funzione pura della politica, ovvero pensare meno a sé stessi e di più agli altri. Chi ha di meno ha più bisogno della comunità. Bisogna tornare ad essere intransigenti se si vogliono salvare la politica e questo Paese”.
Don Luigi Ciotti (foto), fondatore di “Libera”, che definì l'Abbè Pierre “un polmone di Dio”, ha catturato il pubblico con la sua voce tonante, ricordando l'urgenza di rompere il silenzio, perché la denuncia è “annuncio di salvezza”. “Come ha testimoniato l'Abbè servono meno bacetti alla Madonna e più testimonianza civile. Mancare l'appuntamento con l'altro è mancare all'appuntamento con la vita”. E questo era proprio il pensiero di fondo del fondatore di Emmaus. Ciò che contava per lui prima di tutto era l’incontro con l’altro, essere capace di riconoscerlo, di entrare in comunicazione con lui, di riconoscerlo nella propria “pienezza” e anche di farlo esistere nella sua dignità. Non a caso l'accoglienza verso lo sconosciuto che bussa alla porta si riassume per Emmaus nella frase: “Vieni, ti aspettavamo”.
Per approfondire, non rimane che leggere “Tutte le sfide dell'Abbé Pierre” (di Denis Lefévre, Emi editore) che ci illumina sulla lunga avventura umana dell'Abbé. Partigiano e poi deputato, carismatico promotore di solidarietà nel rigido inverno del '54 e organizzatore di alloggi per i senzatetto, presidente del Movimento federalista mondiale e difensore dell'obiezione di coscienza al militare, sostenitore della lotta alla fame nel mondo e figlio ante litteram della chiesa conciliare… E poi la sua abilità nell'usare i mass media, la sua arte di intessere relazioni, con gli ultimi come con i “grandi” di questo mondo.
Fonte: www.famigliacristiana.it
16 Maggio 2012