La marcia per la pace anche in Medio Oriente


La redazione


In occasione del cinquantenario della marcia della pace Perugia


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La marcia per la pace anche in Medio Oriente

 “Cinquant'anni fa si è svolta la prima marcia della pace in Italia, su iniziativa di Aldo Capitini, un corteo non violento che voleva essere simbolo della pace e della fratellanza tra i popoli. Così noi ora, nello stesso momento in cui inizia la marcia a Perugia, partiremo tutti quanti, in modo pacifico e non violento, verso il villaggio di al-Fakheit”. Con queste parole Hafez Hurriani, leader del comitato popolare del villaggio di at-Tuwani, ha dato il via al corteo di donne, uomini, bambini, anziani, che lentamente hanno lasciato il villaggio a piedi, a dorso di mulo e a bordo di trattori. C'era un clima di allegria e spensieratezza, i bambini correvano per le colline e le bandiere palestinesi che sventolavano in aria davano vita e colore alla terra arida e secca, tipica dell'area meridionale della Cisgiordania. Gli abitanti sembravano aver dimenticato per un giorno la dura vita che sono costretti ad affrontare nel villaggio, la loro quotidiana lotta per la sopravvivenza contro gli attacchi dei coloni e contro l'aggressiva politica di Israele. Dal 2004, a causa dei frequenti attacchi dei coloni che vivono nell'insediamento di Ma'on e nell'avamposto di Avat Ma'on, si è stabilita la presenza di due gruppi di volontariato internazionale: Operazione Colomba e il Christian Peace Maker Team, il cui ruolo fondamentale è quello di accompagnare di accompagnare i pastori a far pascolare le capre e controllare che la scorta militare israeliana protegga i bambini dagli attacchi dei coloni mentre si dirigono a scuola. “Inizialmente il nostro ruolo era quello di accompagnare i bambini dal vicino villaggio di Tubas fino alla scuola di At-tuwani” ha raccontato all'Alternative Information Center Corrado, un volontario di Operazione Colomba – ma dopo alcuni attacchi dei coloni contro i bambini e i volontari internazionali, la Knesset ha ordinato ai soldati di scortare i bambini. Il nostro ruolo adesso è quello di controllare che la scorta faccia il proprio dovere, ma molto spesso purtroppo i soldati sono in ritardo oppure non accompagnano i bambini per tutto il percorso”. “Quando si parla di resistenza non violenta ci riferiamo alla resistenza quotidiana” ha spiegato Hafez – i pastori resistono cercando di raggiungere la loro terra per sfamare le pecore; i bambini andando a scuola nonostante gli attacchi dei coloni e gli arresti dei soldati israeliani”. Una resistenza che, per scelta, ha sposato la filosofia della non violenza. La marcia si è svolta in modo pacifico, senza l'intervento dell'esercito israeliano: i soldati si sono posizionati in cima ad una collina per controllare la situazione, ma, come confermato anche dagli abitanti del villaggio, ogni giorno ci sono camionette di militari che pattugliano l'area. “E' sempre così” ha raccontato Mouhammed, un abitante del vicino villaggio di Susya – siamo in area C e qui i padroni sono loro, i soldati israeliani. Ai palestinesi di quest'area non è permesso far nulla, non abbiamo nessuna autorizzazione per costruire nuove abitazioni, le nostre case sono continuamente soggette ad ordini di demolizioni. Solo un mese fa nel mio villaggio, dove gli abitanti vivono nelle tende, c'è stato un attacco da parte di alcuni coloni i quali hanno bruciato una tenda. La nostra resistenza è quella di continuare a vivere qui, di non andarcene”.

Fonte: Alternative Information Center

settembre 2011

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