La maledizione del petrolio
Riccardo Barlaam - nigrizia.it
Il petrolio è una risorsa o una maledizione per l’Africa? Finora ha portato solo piccoli benefici alle popolazioni dei paesi produttori, se si pensa a Algeria, Libia, Angola, Guinea Equatoriale.
Il petrolio è una risorsa o una maledizione per l’Africa? Finora ha portato solo piccoli benefici alle popolazioni dei paesi produttori, se si pensa a Algeria, Libia, Angola, Guinea Equatoriale. È indicativo quanto succede nel delta del Niger da decenni, quanto sta accadendo attorno al petrolio in Uganda e ciò che rischia di accadere per via degli enormi giacimenti di gas in Mozambico. E in Africa orientale le major petrolifere fanno a gara per ottenere le licenze con i rischi di corruzione e di instabilità dietro l’angolo: regali e tangenti off shore a questo o quel deputato, a manager e ministri, per condizionare le decisioni politiche.
Qualche settimana fa, in Italia, lo scandalo per le tangenti sull’algerina Sonatrach ha investito anche i vertici di Saipem. L’inchiesta partita in Algeria nel 2010 riguarda la società petrolifera di stato e, appunto, tre multinazionali di Usa, Germania e Italia. L’amministratore delegato Eni, Paolo Scaroni, ha azzerato i vertici della società italiana. Sono arrivate poi le dimissioni del vicepresidente di Saipem, Pietro Franco Tali. È stato sospeso in via cautelare il responsabile dell'area engineering&construction, Pietro Varone, indagato dalla procura di Milano per corruzione internazionale. E si è dimesso il direttore finanziario Eni, Alessandro Bernini, con un passato alla Saipem.
Tre i dossier dell’inchiesta algerina: un contratto da 580 milioni di dollari siglato da Sonatrach con Saipem per la realizzazione del gasdotto GK3; un contratto con il gruppo tedesco Contel Funkwerk Plettac da 142 milioni di dollari; il terzo fascicolo, da più di 100 milioni di dollari, con la società americana Ccic, riguarda il restauro della sede della direzione generale della società algerina.
Secondo i giornali algerini, il contratto per realizzazione del gasdotto GK3, siglato in giugno da Saipem, sarebbe stato ottenuto dalla società italiana «in condizioni dubbiose» in cambio di «servizi» o «commissioni». Il gasdotto, 350 km, collegherà la località di Mechtatine a Tamlouka nel nordest del paese e da qui proseguirà verso Skikda ed El-Kala sulla costa nordorientale. Tempistica dei lavori: 26 mesi. L’inchiesta ha rallentato tutto. Il progetto GK3 permetterà a Sonatrach di aumentare la propria capacità di trasporto di gas fino a raggiungere i 9 miliardi di metri cubi l’anno. E assicurerà l’approvvigionamento del futuro gasdotto Galsi che collegherà l'Algeria all'Italia attraverso la Sardegna, del nuovo treno di liquefazione di gas naturale (Gnl) di Skikda e di due centrali elettriche.
L’inchiesta aperta dalle autorità locali ha portato ad arresti e alle dimissioni del presidente del gruppo algerino Mohamed Meziane, più altri 15 dirigenti accusati di corruzione e malversazione. A Milano i pubblici ministeri Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro indagano su una commissione, pagata nel 2007 alla Sonatrach, che oscillerebbe tra i 180 e i 200 milioni di dollari a fronte dei contratti per la costruzione del gasdotto per 580 milioni di dollari. Per gli inquirenti una commissione così alta potrebbe nascondere una tangente per l’ottenimento di autorizzazioni e via libera ai lavori. Gli uomini in cravatta e camicia bianca ci provano sempre. Con la loro scia di dollari, corruzione, povertà, sangue…
Qualche anno fa scrissi un dossier per Il Sole 24 Ore incentrato sul ritrovamento di giacimenti di idrocarburi nella Val D’Agri, in Basilicata. Incontrai anche il presidente della regione, Angelo Dinardo, maestro in pensione, uomo mite ma con principi fermi e idee chiare. Mi confidò che un giorno si presentarono nel suo ufficio due alti dirigenti dell’Eni con una valigetta piena di soldi. Stupito rispose: «Chiudete quella borsa! E dite ai vostri superiori di venire con delle proposte serie. Proposte per la Basilicata, non per me».
Dopo qualche mese, fu firmato un protocollo tra Eni e Regione Basilicata che prevedeva una serie di misure molto onerose per la società petrolifera: paletti presisi per accelerare lo sviluppo socio-economico delle aree interessate all’estrazione, royalty in percentuale sull’estrazione, programmi di monitoraggio ambientale e di gestione del territorio, completamento delle reti di distribuzione del metano in Basilicata. Misure tanto onerose per il cane a sei zampe che nei primi anni del programma non è stato conveniente estrarre petrolio in Val D’Agri.
Se al posto del vecchio maestro in pensione ci fosse stato un leader africano, forse non sarebbe andata così… Ma la sua lezione non è bastata.
Fonte: www.nigrizia.it
2 gennaio 2012