La mafia è ancora all’attacco
Nicola Tranfaglia - Articolo21.org
I comuni italiani vengono sciolti dal Nord al Sud per inquinamento di Cosa Nostra e delle altre associazioni criminali. E non si procede in nessun modo con un programma adeguato e generalizzato di educazione civile.
Due cose mi hanno colpito in maniera particolare nelle ultime ore di questa settimana. Da una parte, il Ministero degli Interni ha dovuto sciogliere di colpo sette comuni in Italia per inquinamento mafioso: si va da Leinì a un passo da Torino, in una provincia che è da sempre in mano al centro-sinistra, a Salemi, di cui era sindaco da qualche anno Sgarbi che si è dimesso quando ha capito che cosa stava per succedere e ancora a Racalmuto dove pure campeggia da alcuni anni una statua di Leonardo Sciascia, lo scrittore siciliano che ha scritto testi di straordinaria importanza storica e letteraria in anni lontani come Il giorno della civetta (nel 1961)e cinque anni dopo (nel 1966) a Ciascuno il suo.
Per chi, come chi scrive, ha dedicato molti anni all’analisi del fenomeno mafioso quello che sta succedendo è che l’Italia non è cambiata con l’apparente assenza mediatica di Silvio Berlusconi (dico apparente perché il conflitto di interessi resta ben saldo e nessuno si sogna prima delle elezioni politiche del prossimo anno di far approvare in parlamento una legge che possa sanarlo) e che si continua ad andare avanti sempre con una politica a singhiozzo nella quale ogni tanto si sciolgono dei comuni in giro per l’Italia ma non si fa niente altro contro Cosa Nostra e le sue sorelle. Né si fa quello che, ad esempio, un ex magistrato come Gherardo Colombo il quale fu vent’anni fa uno dei protagonisti della lotta giudiziaria a Tangentopoli e che ha lasciato la Corte di Cassazione quando c’era arrivato.
Ora Gherardo Colombo – che ho avuto la fortuna di conoscere e con il quale a Milano mi è capitato più volte negli anni scorsi di discutere – sostiene con un giornale di opposizione (ed io sono da molto tempo d’accordo con lui) che l’educazione alla legalità e il rispetto della costituzione è più efficace delle manette. “Non mi pare – aggiunge subito – che sia stato fatto quasi niente per combattere la corruzione o per facilitare la scoperta della corruzione. Il falso in bilancio consentiva spesso di scoprire tangenti. L’abuso di ufficio oggi è una specie di reato impossibile. Mi sono dimesso dalla magistratura perché sono convintissimo che sia necessario soprattutto fare dell’altro. Queste cose non si risolvono con il processo penale ma attraverso il sentire comune. Certe volte non si fanno perché lo vieta il codice penale, ma perché non va bene. Si sa che non va bene. Si tratta della libertà delle persone di gestire la propria responsabilità.”
E Piercamillo Davigo, oggi giudice alla Corte di Cassazione, ricorda sempre a un giornale che l’ex presidente del Consiglio e segretario del Partito Socialista on. Bettino Craxi, “parlò di un finanziamento illegale alla politica che coinvolgeva tutti, senza che nessuno dei deputati presenti in aula (tra cui certamente ce n’erano di onesti, ma ignari di ciò che accadeva nei loro partiti) si alzasse a rivendicare la propria estraneità e il proprio sdegno nel sentirsi accomunare al generale ladrocinio.”
Ci fu dunque – e le testimonianze dei giudici di allora a Milano lo confermano – la constatazione di una malattia grave della classe politica e di quelle dirigenti in Italia ma quella malattia non è stata curata né per via politica né per via legislativa e oggi, in attesa delle già “mitiche” elezioni del 2013, siamo in una situazione molto difficile: si succedono oggi come ieri le inchieste giudiziarie e uomini politici di diverse forze politiche (dal PD al PDL per esser sintetici) sono indagate per gravi reati di corruzione o di vicinanza alle associazioni mafiose.
I comuni italiani vengono sciolti dal Nord al Sud per inquinamento di Cosa Nostra e delle altre associazioni criminali. E non si procede in nessun modo con un programma adeguato e generalizzato di educazione civile in grado di persuadere le nuove generazioni ad essere e rimanere fedeli ai principi costituzionali e agli ideali di cittadini democratici come, invece, è necessario per combattere e sconfiggere mafia e corruzione che sono nel secolo ventunesimo i due pericoli complementari contro un’Italia moderna e avanzata.
Vedremo presto se le forze politiche dell’una e dell’altra parte selezioneranno i propri candidati prima per le elezioni locali e poi per quelle nazionali privilegiando l’onestà personale e la fedeltà ai principi costituzionali o, come è sempre accaduto finora, in base a criteri di docilità e obbedienza ai leader del momento o ancora di notorietà mediatica piuttosto che di merito individuale e di competenza culturale. Solo così i componenti delle assemblee elettive chiamati a sostenere le ragioni dell’interesse comune e generale piuttosto che quelle di lobbies piccole e grandi potranno migliorare una situazione che è diventata preoccupante.
Fonte: http://www.articolo21.org
26 marzo 2012