La lunga scia di droni e ostaggi
Le organizzazioni umanitarie chiedono più “trasparenza” sull’utilizzo e sugli errori degli aerei senza pilota.
«Abbiamo identificato 41 uomini che hanno vissuto solo una volta ma che sono morti molte volte. Ognuno di loro è stato un obiettivo dato per morto almeno tre volte prima che lo fosse veramente. In alcuni casi c’è chi è stato preso di mira sette volte… i raid uccidono in media 28 altre persone prima di colpire il proprio obiettivo. In totale, fino a 1.147 persone potrebbero essere state uccise durante i tentativi di ucciderne 41… e nonostante più tentativi, almeno sette di questi 41 ricercati sono probabilmente ancora in vita». La riassume così la “legge del drone” un rapporto di Reprieve, associazione che si occupa di violazioni estreme dei diritti umani. Nel suo rapporto You never die twiceil bilancio che traccia si aggiunge ai tentativi di far luce sull’odiosa guerra moderna che si gioca come un videogame. La stessa che ha ucciso Giovanni Lo Porto e il suo compagno di prigionia. la stessa su cui Obama ha taciuto a Renzi. La stessa per cui da anni il Rapporteur speciale dell’Onu Ben Emmerson chiede maggior trasparenza. La stessa infine che ha appena registrato un ennesimo appello da parte di Amnesty International e American Civil Liberties Union, due organizzazioni di tutela dei diritti umani che hanno chiesto a Obama di «chiedere scusa» a tutte le vittime della dirty war combattuta in Afghanistan, Pakistan, Yemen ma anche a Gaza, in Siria o in Irak. Non solo dagli Usa dunque.
L’uso dei droni non è finalizzato solo a omicidi mirati, una pratica ormai diffusa e di cui Israele detiene forse la primogenitura. I droni dovrebbero anche aiutare a ritrovare e poi liberare gli ostaggi. Succede invece che addirittura li uccidano. Un problema che sembra senza ritorno visto che due recenti missioni di liberazione sono miseramente fallite: nel luglio scorso quando la Delta Force americana ha tentato di liberare in Siria il giornalista James Foley, poi ucciso dagli uomini del califfato che si erano spostati senza che i droni se ne accorgessero. E poi quando la liberazione del fotoreporter americano Luke Somers e del sudafricano Pierre Korkie in Yemen si è risolta in un nulla di fatto. I qaedisti erano riusciti a sapere dell’arrivo del commando.
Quello degli ostaggi è forse il capitolo più spinoso, se non altro perché ci riguarda da vicino. Sappiamo poco di quelle 1.147 vittime citate da Reprieve ma sappiamo tutto dei nostri connazionali. Tutto? No, non tutto perché si tende a scegliere il “basso profilo”. Un modo per non interferire nel lavoro dei servizi ma anche la maniera di far dimenticare un possibile fallimento. Nel 2012, ad esempio,
JoshuaBoyle e sua moglie Caitlin Coleman (nella foto) furono sequestrati in Afghanistan. Il silenzio è stato rotto un anno fa da un video quando ormai Caitlin, rapita incinta, aveva ormai partorito. Poi il silenzio. Lo stesso che ha circondato per tre anni i destini di Lo Porto, uno dei tre italiani di cui si erano perse le tracce. Gli altri due sono Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria il 27 luglio del 2013, e Ignazio Scaravilli, medico di Catania settantenne scomparso il 6 gennaio 2015 in Libia. Anche se nessuno ha mai perso le speranze, la detenzione di padre Dall’Oglio, 59 anni, gesuita e per trent’anni siriano d’adozione (poi espulso per le sue posizioni anti governative), dura ormai da quasi due anni. Il rapimento dell’autore di “Collera e Luce” e di molti testi sulla relazione tra islam e cristianità, è avvenuta dopo un appello del sacerdote a papa Francesco perché si facesse promotore di un’«iniziativa diplomatica urgente e inclusiva» per la Siria.
La lista è lunga. Ci sono forse i qaedisti di Al Qaida nella penisola arabica dietro al recente rapimento di
Isabelle Prime a Sana’a, ricercatrice francese sequestrata in febbraio forse in relazione alle vicende di Charlie Hebdo. Il paradosso è che solo un paio di mesi prima, il presidente Hollande aveva detto che grazie a una «potente vigilanza» quello di Serge Lazarevic – liberato dopo oltre mille giorni di prigionia – sarebbe stato l’ultimo sequestro. Anche se nulla si è mai più saputo ad esempio di Rodolfo Cazares, un franco messicano rapito il 9 luglio dai narcos del Messico. Dall’Afghanistan all’Irak, dal Mali alle Americhe, la pista è lunga e non per forza solo islamista. Quel che è certo è che non sarà l’odioso utilizzo di un drone a porre fine a una delle più odiose forme di combattere la guerra.
26 aprile 2015