La lezione di Balducci. Per uscire dalla crisi ripartire dalle città
Flavio Lotti
Se fosse ancora qui tra noi, padre Ernesto Balducci non avrebbe dubbi. Ripartire dalle città è dunque contemporaneamente una necessità concreta e un’opportunità politica.
Se fosse ancora qui tra noi, padre Ernesto Balducci non avrebbe dubbi. Per uscire dalla crisi dobbiamo ripartire dalle città. Di fronte alla crisi epocale che sta facendo strage di diritti, di fiducia e di vite umane, di fronte al disordine, all’incertezza e allo smarrimento imperanti Balducci ci indicherebbe innanzitutto un luogo. Non un luogo qualunque, ma qualunque luogo dove l’umanità assume un volto concreto. Non i grandi templi della finanza e del mercato, non le grandi cattedrali della democrazia incompiuta, non i centri del potere corrotto ma le città, i luoghi in cui viviamo, affrontiamo i nostri problemi, costruiamo i nostri sogni.
Per Balducci la prospettiva del cambiamento non può che ripartire da qui, da quelli che sono “gli spazi naturali dell’elaborazione del rapporto diretto tra uomo e uomo, tra uomo e società e tra società e ambiente”, da questo spazio denso di contraddizioni e antagonismi dove convivono e confliggono violenza e amore, guerra e pace, aggressività e amicizia, storia e futuro, fecondità e sofferenza, bellezza e degrado, comunità e solitudine.
L’intuizione di Balducci non è un prodotto dell’intelligenza ma dell’amicizia e, in particolare, della grande amicizia di Giorgio La Pira. Balducci ha respirato sino in fondo il tempo di La Pira nutrendosi come pochi hanno saputo fare di quella straordinaria avventura umana e politica. Balducci coglie la portata storica e profetica dell’esperienza di Giorgio La Pira che, tra il 1951 e il 1965, fu sindaco e amministratore della città di Firenze. La coglie, la ripropone, la attualizza e la sviluppa con l’aggiunta che è propria dei più grandi uomini nuovi del nostro tempo.
“L’impresa di La Pira, scrive Balducci, fu la costruzione di una città della pace proprio mentre l’esplodere delle contraddizioni toglieva ogni determinazione concreta all’oggetto dei suoi vagheggiamenti. Egli non si limitò a sognare e a suggerire, con l’ostinata divulgazione del suo sogno, il recupero e la salvaguardia di una identità civica in declino. Mise le mani sulle cose, afferrò uno dopo l’altro i nodi della crisi cittadina e si impegnò a scioglierli con tale passione da avere e da dare l’impressione di esserci riuscito.”
La città di Balducci, come quella di La Pira, è una città concreta impegnata a fare i conti con i problemi più acuti del tempo e del mondo presente senza cedimenti alla retorica e agli interessi più immediati. Ed è una città pienamente cosciente del nuovo ruolo storico che le viene assegnato dall’età planetaria o come diciamo oggi, dai processi di globalizzazione in cui siamo immersi. Le città sono in crisi perché sono investite da problemi “che vengono da altrove, che hanno estensioni che superano di gran lunga i confini della città, che hanno origini non riconducibili al perimetro delle competenze politiche ed economiche di una città”. Ma, allo stesso tempo, il rilancio delle città diventa “l’unica possibile risposta concreta della società civile al deperimento dello Stato, nelle sue regole di democrazia rappresentativa, non più idonee a tradurre le responsabilità del cittadino di fronte ai problemi nuovi, di dimensioni epocali, posti dall’incombere del cataclisma atomico e del dissesto ecologico”. Il ragionamento diventa ogni giorno più evidente: ciascuna delle nostre città è ormai diventata una “città-mondo” perché su di essa ricadono tutti i problemi del pianeta e perché essa stessa è ormai abitata da persone provenienti da ogni parte della Terra. Dentro questo microcosmo si consuma la stessa violenza che vediamo dilagare nel mondo ma troviamo anche l’umanità che si ribella e che cerca di liberarsene.
Ripartire dalle città è dunque contemporaneamente una necessità concreta e un’opportunità politica. E’ una necessità perché la città che non vuole soccombere sotto il peso delle crisi planetarie è chiamata a “reinventare sé stessa agendo sui due fronti: quello esterno e quello interno”. Ed è una opportunità perché questo sforzo coincide con quello che dobbiamo produrre per salvare l’umanità dal caos e dall’autodistruzione. In questa prospettiva, ogni città può e deve diventare un luogo di sperimentazione del mondo nuovo che vogliamo costruire. La buona politica deve ricominciare da qui, senza cedimenti alla paura e alla rassegnazione, nel nome di un grande organizzatore della speranza: padre Ernesto Balducci.
Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace
Articolo pubblicato da l’Unità martedì 24 aprile 2012