La guerra ignorata del monte Elgon
Marco Cochi
Nell’ovest del Kenya, da oltre un anno e mezzo, è in atto un violento conflitto legato a tensioni per la distribuzione delle terre. Migliaia gli sfollati, centinaia i morti. Per fermarlo, Nairobi propone l’amnistia per i responsabili.
Dall’autunno del 2006 la popolazione dei distretti del monte Elgon, nel Kenya occidentale, sta vivendo sulla propria pelle il violento conflitto tra il Sabaot Land Defence Force (Sldf), un gruppo che ha preso le armi in seguito alla crisi generata da un controverso piano di distribuzione delle terre, e l’esercito keniano.
Alle pendici del vulcano estinto più grande dell’Africa si sta consumando l’ennesima emergenza umanitaria, assolutamente ignorata dai media. L’offensiva militare delle Sldf ha già provocato la morte di almeno cinquecento persone e decine di migliaia di sfollati; mentre molti degli abitanti di questa regione confinante con l’Uganda hanno subito atrocità e mutilazioni.
Come riportato nei giorni scorsi da Medici Senza Frontiere, in questo clima di insicurezza, le persone non hanno accesso ai servizi di base, non hanno indumenti, cibo sufficiente, case o coperte e sono costrette a vivere in rifugi improvvisati. Come sempre, i primi a soffrire di tali violenze sono i bambini: secondo un rapporto dell’Unicef, sono almeno 46 mila i minori che sono stati costretti ad abbandonare i propri villaggi, incendiati dalle incursioni e dalle attività della guerriglia.
L’origine di questo conflitto nasce dal malcontento provocato da un’errata redistribuzione delle terre. Durante il processo di allocazione delle terre, avviato nel dicembre 2006 dopo colpevoli ritardi, irregolarità e evidenti casi di corruzione hanno fatto precipitare l’intento della riforma. La comunità Soi ha denunciato una non equa distribuzione e, come risposta alle autorità governative, ha dato vita al gruppo ribelle delle Sabaot Land Defence Forces, che ha messo a ferro e fuoco l’intera regione, con l’obiettivo di spingere il governo ad annullare li provvedimenti che li hanno costretti ad evacuare le terre dei loro antenati, delle quali si sono impossessati i membri del clan rivale, i Ndoboro.
Lunedì scorso lo Standard, uno dei principali quotidiani keniani, ha reso noto che il governatore della provincia occidentale, Abdul Mwasera, ha offerto l’amnistia ai membri delle Sldf e a quelli che li hanno sostenuti finanziariamente se si consegneranno alle forze dell’ordine. Mwasera ha fatto appello a tutta la popolazione civile perché consegnino le armi detenute illegalmente.
Mentre alla fine di giugno si sono consegnati ai soldati keniani tre comandanti delle Sldf: Stephen Juma Kirui, che aveva sostituito il comandante in capo delle milizie Wycliffe Matwakei, ucciso dall’esercito a maggio; il portavoce della milizia Samson Kanai e il responsabile dell’addestramento dei miliziani Geoffrey Makwere.
Secondo il governo, la resa dei vertici del gruppo sarebbe dovuta al successo del’operazione militare avviata nel marzo scorso da Nairobi, che ha portato all’arresto di oltre 3700 presunti miliziani. Intanto, la Commissione nazionale del Kenya per i diritti umani è stata invitata dall’Alto Commissariato Onu per i diritti umani a presentare il suo rapporto su prove di abusi e torture commesse dall’esercito kenyano durante gli interrogatori di centinaia di persone arrestate sul monte Elgon.
Fonte: Nigrizia.it