La frenata di Trump preoccupa Israele?
Michele Giorgio
Dopo che la Casa Bianca ha definito “non utile” progettare nuove colonie ebraiche, Israele ipotizza l’adozione da parte del presidente Usa della linea di George Bush figlio favorevole a costruire case solo nei blocchi principali di insediamenti ebraici.
Donald Trump adotterà le politiche di George Bush, padre e figlio, nei confronti delle colonie israeliane? Questo dubbio tormenta non pochi analisti israeliani sorpresi dalla prima uscita del nuovo presidente americano sulla colonizzazione ebraica dei territori palestinesi occupati. Trump in realtà ha solo sfiorato la politica del governo Netanyahu. «La costruzione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di quelli esistenti al di là degli attuali confini potrebbe non aiutare il raggiungimento» della pace con i palestinesi, ha affermato il portavoce della Casa Bianca commentanto l’enorme colata di cemento – circa 6 mila case nelle colonie esistenti più un nuovo insediamento – che Israele si prepara a riversare in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
Eppure sono bastate queste poche parole per far scattare l’allarme in Israele. Qualcuno è andato indietro di 26 anni, ai primi mesi del 1991, quando uno stretto alleato di Israele come George Bush padre, assistito dal segretario di Stato James Baker, a conclusione della prima guerra del Golfo contro l’Iraq, impose al riluttante primo ministro israeliano, Yitzhak Shamir, la partecipazione alla Conferenza di Madrid e ad accettare il negoziato di pace con una delegazione “giordano-palestinese”.
Raphael Ahren, di Times of Israel, non ha escluso altre «sorprese». E’ probabile, ha scritto, che Trump accetti come base della sua politica verso Israele e i palestinesi la famosa “dichiarazione di intenti” del 2004. Si tratta della lettera che George Bush figlio consegnò al premier Ariel Sharon, in cui riconosceva a Israele il diritto di annettersi le porzioni di Cisgiordania con le maggiori concentrazioni di colonie israeliane. Una posizione contestata dai palestinesi e, al contrario, molto apprezzata da Sharon ma che oggi è, paradossalmente, considerata penalizzante dalla destra radicale che detta legge nel governo Netanyahu, che ai palestinesi vorrebbe lasciare solo un pugno di terra senza sovranità.
L’ipotesi dell’adozione della linea di Bush figlio sull’annessione a Israele dei “blocchi di colonie” è solida. Il portavoce della Casa Bianca ha precisato che la nuova Amministrazione Usa non considera le colonie esistenti un ostacolo alla pace. Di fatto è un riconoscimento degli insediamenti, circa 150, costruiti in Cisgiordania da Israele dopo il 1967. E la vice ministra degli esteri Tzipi Hotevely non mancato di evidenziarlo. «La stessa Casa Bianca – ha spiegato – sostiene che gli insediamenti non sono ostacolo alla pace e che non lo sono mai stati».
Ma è solo di una ipotesi. E si avrà un quadro più chiaro della politica dell’Amministrazione Trump verso lo status futuro dei territori palestinesi occupati solo dopo l’incontro che il presidente Usa avrà il 15 febbraio con il premier israeliano Netanyahu alla Casa Bianca. Di sicuro non siamo di fronte a una inversione di rotta, come ha sottolineato l’ambasciatore israeliano all’Onu Danny Danon.
Le nomine fatte da Trump dell’avvocato David Friedman, un amico dichiarato dei coloni israeliani, ad ambasciatore americano in Israele, e del genero Jared Kushner, donatore per alcuni insediamenti ebraici in Cisgiordania, a consigliere ed inviato speciale per il conflitto israelo-palestinese, sono troppo distintive per lasciar immaginare un cambiamento significativo delle posizioni filo israeliane espresse sino ad oggi dal nuovo presidente.
La frenata, leggera, che Trump ha dato a Israele è dovuta con ogni probabilità all’imbarazzo che stanno creando i continui annunci, quasi quotidiani, di nuove costruzioni a favore dei coloni israeliani. Diversi Paesi arabi alleati degli Stati Uniti, anche se dietro le quinte, hanno espresso la loro frustrazione per la gigantesca colata di cemento che sta per abbattersi su Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Il governo israeliano ha tirato troppo la corda nella fretta di liberarsi immediatamente dai (blandi) vincoli alla colonizzazione posti dalla Amministrazione Obama, costringendo Trump ad intervenire. E appare per ora congelato il trasferimento a Gerusalemme dell’ambasciata americana in Israele, promesso dal tycoon in campagna elettorale. L’intenzione di Trump incontra la netta opposizione dei palestinesi e di re Abdallah di Giordania che ha ammonito la nuova Aministrazione dal realizzarla, durante l’incontro che avuto negli Stati Uniti con il vice presidente Mike Pence.
Michele Giorgio è su Twitter: @michelegiorgio2
Fonte: http://nena-news.it
5 febbraio 2017