La “fotografia” della fame nel mondo
Luciano Scalettari
La terra basta per tutti?
Pubblicato il Rapporto “Indice Globale della Fame 2012”. La situazione? In generale migliora. Ma in diversi Paesi, specie africani, va sempre peggio.
L’uso insostenibile delle terre, dell’acqua e dell’energia sta minacciando la sicurezza alimentare dei più poveri e più vulnerabili. È questa, in estrema sintesi, la fotografia del pianeta che emerge dal Rapporto “Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – Ghi) presentato a Milano dal Cesvi, l’Ong bergamasca, in collaborazione con Link 2007, Ispi, Comune di Milano, e con il Patrocinio di Expo 2015.
Il Rapporto 2012 (realizzato da Ifpri, Welthungerhilfe e Concern) è giunto alla quinta edizione italiana. Analizza la situazione in oltre 120 Paesi, 20 dei quali hanno un “Indice di Fame” allarmante o estremamente allarmante (vedi la mappa nell’articolo seguente). Tra questi il Burundi, l’Eritrea, Haiti, Paesi nei quali il 50% della popolazione è denutrito (ma mancano i dati di alcuni Paesi in guerra che probabilmente hanno situazioni analoghe se non peggiori: Somalia, Repubblica democratica del Congo, Iraq, Afghanistan).
L’Indice Globale della Fame è uno dei due rapporti internazionali (insieme a quello curato da Fao, Ifad, Wfp) che illustrano ogni anno la situazione della fame e della denutrizione nel mondo. I risultati presentati nel corposo dossier sono la sintesi di tre indicatori: la percentuale di popolazione denutrita, il tasso di mortalità infantile e la percentuale di bambini sottopeso.
I dati del 2012 vengono confrontati con quelli del 1990, 1996 e 2001, il che permette di cogliere delle linee di tendenza. Quali? «Sebbene l’Indice mondiale della fame scenda dai 19,8 punti del 1990 ai 14,7 del 2012», spiega Stefano Piziali del Cesvi, «l’Africa Sub Sahariana e l’Asia Meridionale mantengono valori elevati con 22,5 e 20,7 punti. Il miglioramento medio generale contrasta fortemente con la realtà in via di peggioramento di alcuni Paesi e di alcune aree del mondo».
Il Rapporto 2012 ha focalizzato l’attenzione in particolare sul tema della scarsità delle risorse destinate alla produzione di cibo: terra, acqua ed energia. Il suolo coltivabile è diventato un bene così prezioso che viene affittato, specie in Africa, per produrre beni destinati all’esportazione. È il cosiddetto land grabbing, l’accaparramento delle terre che negli ultimi dieci anni ha interessato una superficie pari a sette volte quella dell’Italia.
La visita a un bambino per verificare lo stato di malnutrizione in Sahel, durante la recente siccità (Foto Intersos).
La visita a un bambino per verificare lo stato di malnutrizione in Sahel, durante la recente siccità (Foto Intersos).
Il guaio è che la maggior parte delle acquisizioni è avvenuta nei Paesi con alti livelli di denutrizione, dove la popolazione e il reddito nazionale dipendono dall’agricoltura. Il 55% dei suoli affittati viene destinato a colture per biocarburanti, sottraendo terra alla produzione di cibo. Inoltre, la scarsità di acqua è esacerbata dal cambiamento climatico. Alluvioni, siccità e degrado dei terreni minacciano l’agricoltura in diversi Paesi. E l’aumento dei prezzi dell’energia, a sua volta, incide sull’agricoltura, specie sui fertilizzanti e sui sistemi di irrigazione, contribuendo a tenere alti i prezzi dei beni alimentari.
«Tuttavia», aggiunge Piziali, «l’Indice della fame 2012 ci aiuta a comprendere come la prospettiva di un mondo sempre più affamato non sia affatto ineluttabile», sottolinea il dirigente del Cesvi. «Sono già ampiamente disponibili strategie in grado di conciliare produttività e consumo sostenibile delle risorse anche in un contesto di cambiamento climatico».
Ma come metterle in atto? Hanno tentato una risposta i partecipanti al convegno di presentazione del Rapporto, svoltosi a Milano (oltre a Piziali, Carlo Cafiero (Fao), Paolo Ciocca (Ifad), Luca Virginio (Gruppo Barilla), Riccardo Moro (Gcap), Claudia Sorlini (Università di Milano), Claudio Ceravolo (Link 2007) e Paolo Magri (Ispi): tali strategie – hanno ribadito i relatori – richiedono una migliore capacità di governo sovranazionale e globale delle risorse naturali e degli investimenti in agricoltura, una riduzione dell’ineguaglianza tra uomini e donne (che ha effetti positivi sulla pressione demografica), una maggiore inclusione dei gruppi marginalizzati, una gestione responsabile dei diritti di proprietà della terra, della pesca e alle foreste.
È necessario, infine, l’abbandono di sussidi alla produzione di biocarburanti e agli idrocarburi.
Il rapporto è stato diffuso nell’ambito della campagna “Food Right Now” in contemporanea in diversi Paesi: oltre all’Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, Irlanda, Belgio, India, Zimbabwe, Kenya, grazie alla collaborazione di Alliance 2015, un network europeo che riunisce sette Ong (tra cui il Cesvi di Bergamo), la Commissione Europea e Expo 2015.
Fonte: www.famigliacristiana.it
13 ottobre 2012