La corsa di Ghani e Abdullah
Emanuele Giordana
Lontani dagli occhi e soprattutto dal cuore di un pianeta che per più di dieci anni ha seguito le peripezie di un Paese ormai entrato nella categoria dell’oblio, sette milioni di afgani sono andati sabato a votare al secondo turno delle presidenziali.
Lontani dagli occhi e soprattutto dal cuore di un pianeta che per più di dieci anni ha seguito le peripezie di un Paese ormai entrato nella categoria dell’oblio, sette milioni di afgani sono andati sabato a votare al secondo turno delle presidenziali per scegliere chi sostituirà l’inossidabile Hamid Karzai, giunto forse al termine della sua perigliosa avventura politica. La capitale appariva sabato più deserta che in un giorno di festa: vietata la circolazione, negozi serrati e, sorprendentemente, una corsa di primo mattino alle urne per intingere l’indice nell’inchiostro indelebile e firmare così la scheda. «Per le presidenziali non c’è un limite di seggio – spiega Timur, uno dei protagonisti della scena culturale locale – e quindi, per evitare lunghe code, tutti di buon’ora sono andati al seggio più vicino».
Le notizie sull’affluenza restano vaghe: chi dice che era fisiologicamente inferiore al primo turno, chi sostiene un pareggio, chi azzarda un sorpasso di quel 60% che aveva fatto del voto di aprile un primo successo con tanto di indice esibito per dire: «L’ho fatto». Si dovrà attendere il 2 luglio per le prime proiezioni e il 22 – se non più in là – per sapere se la sfida è stata vinta dal medico di Ahmad Shah Massud, Abdullah Abdullah, o dal raffinato Ashraf Ghani, un passato di buone letture e una permanenza alla Banca mondiale. Le ipotesi si sprecano.
Non mi dice per chi ha votato la giovane Sahar, certo è che «al primo turno ho scelto Abdullah perché, anche se rifiuto le divisioni etniche, mi pareva giusto che per una volta il potere passasse dai soliti pashtun ai tagichi». Ma poi, chissà, forse ha cambiato idea. Ghani è convincente e meno nervoso di Abdullah che, quasi certo della vittoria, ora mostra segni di irrequietezza. Lo dimostra la sua richiesta di far fuori Zia-ul Haq Amarkhel, primo segretario alla Commissione elettorale (Iec) retta da Ahmad Nuristani che ha subito respinto al mittente le accuse di frode mosse dal candidato di quella che era l’Alleanza del Nord, che diede manforte agli americani nell’invasione del 2001.
Alla Commissione che vaglia le rimostranze (Ecc) sono già arrivate oltre 550 contestazioni e altre ne arriveranno. La maggior parte, spiegano all’Ecc, non riguarda i funzionari elettorali che però registrano oltre 140 segnalazioni. Si vedrà, un lungo lavoro per dimostrare – agli afgani e alla comunità internazionale – che questa volta le elezioni sono state una cosa seria. Vero, non vero? Un analista locale sogghigna: «Ricordate le percentuali di Rassoul (ex ministro di Karzai e suo “cavallo” elettorale) al primo turno? Di quell’11%, almeno il 5% eran voti fraudolenti. Il che dimostra che Karzai gode di un consenso del 6%…». Vero e non vero, molti si chiedono cosa farà Karzai, vinca uno o vinca l’altro. Ahmad Joyenda, ex parlamentare e ascoltato analista politico che cavalca i dibattiti in tv, è sicuro: «L’epoca di Karzai è chiusa. Si certo, chiunque vinca gli porterà rispetto e forse gli verrà anche affidato qualche ruolo rappresentativo ma nulla più». I suoi due fratelli, a buon conto, hanno scelto uno Abdullah e l’altro Ghani. I maligni dicono che l’appoggio a Ghani si volesse barattare con la chiusura del dossier Kabul Bank (scandalo finanziario che ha coinvolto uno dei fratelli del presidente) e lo scranno della Camera di commercio. Ashraf avrebbe detto no. Abdullah, chissà, forse è stato più propenso a promettere «come ha fatto con altre centinaia di persone cui ha ventilato un posto al sole», chiosa un afgano ben introdotto nelle cose di palazzo.
Ashraf Ghani nervosismo non ne mostra. Abile nel passare da un abito all’altro, ora col copricapo caro ai pashtun, ora con una mise che lo fa assomigliare a Ghandi, incarna forse meglio la possibilità di un cambio di passo: «Se vince- aggiunge Joyenda – sceglierà dei professionisti. E farà subito tre cose: metterà mano al Bsa (l’accordo di partenariato strategico con gli Usa che Karzai non ha firmato ndr) e studierà come negoziare coi talebani, scegliendo un afgano rispettato che sia però percepito come super partes. Infine l’economia. Può farcela anche perché Ghani piace a voi occidentali. Piace a chi chiede trasparenza».
Chiunque vinca dovrà comunque pagare dazio a diversi convitati, più o meno di pietra, più o meno nell’ombra. Abdullah ha come vicepresidente Mohaqeq, mullah oltranzista con un passato funesto durante la guerra civile. Poi ci sono i “suoi” del Nord che chiederanno garanzie. Infine Sayyaf, altro mullah con passato insanguinato, che potrebbe avergli passato il 7% guadagnato al primo turno. E Ghani? Con lui c’è il generale Dostum, che quanto a record criminali durante la guerra è uno dei più quotati anche se si è pubblicamente scusato. Ma c’è anche un dazio “buono” da pagare ai secolaristi, agli ex comunisti, alla sinistra. Che ha scelto Ghani anche se ufficialmente non si può dire.
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Fonte: www.lettera22.it
17 giugno 2014