L’Unicef tra i figli degli slum
Alberto Chiara - Famiglia Cristiana
Oltre un miliardo tra bambini e adolescenti vive nelle metropoli. Il Rapporto annuale 2012 si occupa soprattutto di loro, dell’infanzia negata nelle periferie più povere del pianeta.
S'intitola Figli delle città. Il che lascia già intuire molto. Sin dalle prime battute, infatti, l'Unicef dedica l'edizione 2012 del Rapporto annuale sulla condizione dell'infanzia nel mondo all'analisi puntuale dei contesti urbani, croce e delizia per chi si affaccia alla vita. Circa 3,5 miliardi di persone vivono in metropoli o in centri di media grandezza, i bambini e gli adolescenti sono più di un miliardo.
Se da un lato la città produce ricchezza, offrendo un interessante ventaglio di opportunità, dall'altro costituisce uno scenario eterogeneo in cui l'accesso ai diritti fondamentali (cibo, medicine, istruzione) non è garantito a tutti. Si pensi alle periferie degradate che, a seconda della lingua parlata, chiamiamo slum, bidonville o favela. Spesso, lì, le donne in gravidanza non ricevono le cure necessarie, vuoi per la penuria dei servizi vuoi per gli alti costi. Se uno ce la fa a veder la luce rischia di nascere malato. Nel 2010, nelle centinaia di baraccopoli sparse sul pianeta ogni giorno mille bambini sono venuti al mondo con il virus Hiv ereditato dalla propria madre. Un terzo dei neonati, poi, non viene registrato all'anagrafe, costretto suo malgrado a un limbo giuridico e sociale.
Fame, malattie, ignoranza: il calvario ha tante stazioni. E richiede tanto lavoro per migliorare le cose. Nel 2010, è solo un esempio, complicazioni da parto, polmonite e diarrea hanno ucciso 8 milioni di bambini tra zero e cinque anni, per la maggior parte nelle periferie urbane. In ultimo, disoccupazione e violenza. In alcune aree del mondo, si entra a far parte di una banda a 13 anni. «Non sono problemi lontani da noi», ha commentato Giacomo Guerrera, neoletto presidente del Comitato italiano per l'Unicef. «Anche il nostro Paese ha le sue tristi sacche urbane di povertà materiale, culturale e sociale. Noi ci rimbocchiamo le maniche aiutando i bambini che nascono italiani e quelli che in Italia arrivano in fasce ma non per questo sono meno "persone" degli altri».
Fonte: http://www.famigliacristiana.it/
28 Febbraio 2012