“L’intervento militare esterno? Un errore”
Tommaso Di Francesco - Il manifesto
Ad Angelo Del Boca, esperto di Libia e storico del colonialismo italiano, abbiamo rivolto alcune domande sul precipitare della crisi in in Libia.
Il ministro degli esteri italiano Frattini dichiara che l'Italia è pronta a chiedere l'intervento in Libia dell'Oua, l'Organizzazione unitaria dei paesi africani, su mandato delle Nazioni unite. Che ne pensi?
È una proposta molto velleitaria e per molti motivi. Prima di tutto il ministro Frattini dimentica l'origine di questa Unione africana che è un'organizzazione fondata da Muammar Gheddafi. Ora sembra abbastanza strano che si mandi un'organizzazione inventata da Gheddafi a colpire Gheddari. È stata proprio un'idea di Gheddafi che nel 2000 ha radunato a Sirte 54 capi di governo e di stato e ha fatto la proposta di organizzare una unione africana che coinvolgesse tutto il continente per avere uno strumento unitario con cui trattare con altri «blocchi» internazionali da una posizione di forza. In realtà ha avuto scarsi successi perchè è andata male in Darfur, sta andando molto male in Somalia, dove le forze Oua non riescono neanche a salvare non dico Mogadiscio ma neanche un quartiere della capitale somala. Mi sembra che la proposta di Frattini ha scarso valore.
Si parla di intervento, arrivano notizie dai siti israeliani (Depha) della presenza di centinaia di consiglieri militari americani e britannici in Cirenaica. Mentre le forze speciali tedesche sono intervenute con un blitz segreto per salvare dipendenti dell'Arabia Gulf Oil. Insomma, secondo te serve un intervento militare dall'esterno, magari di Nato e Stati uniti insieme?
Io direi tutto meno che americano. Perché verrebbe giudicato molto male. Non dimentichiamo che gli Stati uniti hanno già fatto un intervento militare nell'86 quando hanno mandato i cacciabombardieri su Bengasi e su Tripoli massacrando un centinaio di persone, compresa una figlia adottiva di Gheddafi. Diciamo che, con questo ricordo, forse gli americani non dovrebbero riproporre una soluzione simile.
Come giudichi il fatto che gli insorti del Consiglio nazionale della Cirenaica dicano espressamente: «Non vogliamo un intervento militare straniero, vogliamo liberarci da soli»?
Trovo sia giusto, è un valore in sé molto importante. Perché in un certo senso forse riescono da soli ad accerchiare Tripoli. Ci vorranno dei giorni, ancora molti giorni, per dare poi il colpo finale. Perché Sirte è ancora in mano a Gheddafi e anche altre località a mezza strada. Se loro pensano di partire da Bengasi con una marcia o convoglio militare per andare ad attaccare Tripoli, rischiano di fallire. Sono 1200 km di distanza, ed è difficile poter fare uno sforzo di quel genere senza un esercito veramente organizzato e regolare.
È confermato che si sono schierati con gli insorti molti protagonisti della lotta di liberazione libica dal colonialismo fascista?
Sì, due giorni fa è scesa in campo la famiglia di Mohamed Fekini, eroe della resistenza contro gli italiani. Da Londra Anwar Fekini (avvocato internazionale) coordina alcune iniziative, convincendo alcuni ambasciatori a disocciarsi da Gheddafi. Ha fatto anche una trasmissione su una radio di Londra e i suoi cugini – altri nipoti del famoso Mohamed Fekini – hanno raggiunto gli insorti in montagna e stanno organizzando l'operazione per scendere su Tripoli. E adesso sono armati. Da principio non lo erano, poi hanno occupato un campo militare e si sono impossessati di carri armati e missili. Domenica Gheddafi, sperando di poter evitare la scesa in campo della tribù dei Rogeban alla quale appartengono i Fekini, ha inviato un suo generale che si chiama Mustafa Akkad (anche lui è un rogeban) per convincerli a desistere o a rimanere neutrali. E naturalmente Faden Fekini, altro cugino colonnello dell'aviazione, gli ha risposto di no e, anzi, lo hanno invitato a dissociarsi da Gheddafi altrimenti anche lui sarebbe finito male. Dunque, è scesa in campo la potente famiglia Fekini.
Fonte: www.ilmanifesto.it
1 marzo 2011