L’Africa dell’Est nella morsa della fame
Matteo Fraschini Koffi
Il Kenya chiede aiuto: in 3,8 milioni di persone a rischio per siccità e colera. Allarme anche in Etiopia. L’Africa (in molte aree) fronteggia una carestia epocale. L’Ong Oxfam ha sottolineato che i Paesi in crisi devono mirare a preparare le proprie popolazioni a prevenire e affrontare al meglio gli effetti del cambio climatico, piuttosto che affidarsi agli aiuti.
Un’intera regione prostata. Ridotta a lanciare appelli al mondo per sfamare la sua gente, nell’attesa che prima o poi i tanti programmi alimentari sbandierati in questi anni diano i loro frutti. L’Africa orientale fronteggia una carestia epocale. Si era già parlato nei giorni scorsi dell’Etiopia, dove sono a rischio oltre 6,2 milioni di persone. Si sa da tempo della Somalia, violentata da un conflitto che non consente molte attività produttive. Ma soffre, e molto, anche il Kenya, Paese che a queste latitudini è da tempo visto come il cugino ricco, se ricco può definirsi un Paese dove oggi 3,8 milioni di cittadini sono sull’orlo della fame. In tutto, tra i due Paesi, fanno 10 milioni di affamati. Secondo le autorità di Nairobi sono necessari più di 350 milioni di dollari per finanziare 390mila tonnellate di cibo, indispensabili da ora a febbraio. L’acqua scarseggia in molte aree del Paese, compresa persino la capitale Nairobi dove da diverse settimane è stato attuato un razionamento delle riserve. “La situazione è molto grave nella regione di Turkana”, afferma Marianna Betti, ricercatrice in antropologia appena ritornata a Nairobi dopo aver passato alcuni mesi in una delle zone più aride del Kenya, “La popolazione fatica a sopravvivere e sembra poter fare affidamento solo sull’opera dei missionari e delle agenzie umanitarie che lavorano da anni in questa regione. Durante i miei viaggi ho riscontrato molti casi di colera, per i quali, in queste condizioni, è molto difficile trovare rimedio adatto”. Più di 600 casi di colera hanno colpito la regione Turkana secondo le stime dell’agenzia umanitaria International rescue committee (Irc), “La carenza di acqua”, ha precisato Vincent Kahi a capo del settore sanitario dell’organizzazione per il Kenya, “è il maggior conduttore della malattia, soprattutto nell’area di Kalokol. Insieme al ministero della Sanità stiamo cercando di distribuire delle pastiglie di cloro per purificare l’acqua, oltre a riparare alcune infrastrutture”. Colera, meningiti ed epidemie di polio sono tra le principali malattie provocate da una grave mancanza di acqua e stanno colpendo l’area nord-orientale del Paese. Nelle baraccopoli di Nairobi, invece, sono stati registrati 11 decessi per via del colera durante l’ultima settimana. Gli ospedali missionari si stanno occupando di centinaia di pazienti affetti da casi di colera e malattie da collegarsi alla mancanza di igiene. In molte aree della capitale keniota il cibo viene venduto per strada, spesso accanto ai canali delle fognature che raramente sono coperti e protetti. Inoltre, la pressione causata dall’intenso flusso di immigrati, soprattutto somali, che continuano a riversarsi nei campi per rifugiati in Kenya, rendono ancora più difficile affrontare la crisi. Il fenomeno della siccità sta infatti stringendo in una dolorosa morsa non solo il Kenya, ma tutto il Corno d’Africa e l’Africa Orientale. L’Etiopia ha recentemente chiesto fondi per gli oltre 6,2 milioni dei suoi cittadini che hanno immediatamente bisogno d’aiuto. John Holmes, coordinatore delle Nazioni Unite per l’emergenza e l’assistenza umanitaria, ha dichiarato: “ Più di 23 milioni di persone facenti parte di comunità legate all’agricoltura e alla pastorizia, nonché sfollati e rifugiati, stanno sentendo l’impatto della scarsità di acqua e cibo, di conflitti e insicurezza. Pur non potendo prevenire questi choccanti eventi climatici, possiamo certamente mitigarne i loro disastrosi effetti attraverso una rigorosa pianificazione e i finanziamenti da parte dei donatori della comunità internazionale”. In uno studio di recente pubblicazione per marcare il 25esimo anniversario della grande carestia dell’Etiopia, l’organizzazione non governativa britannica Oxfam ha però sottolineato che i Paesi in questione devono mirare a preparare le proprie popolazioni a prevenire e affrontare al meglio gli effetti del cambio climatico, piuttosto che affidarsi agli aiuti.
Fonte: Avvenire
27 ottobre 2009