Kerry da Roma: “Più aiuti ai ribelli anti-Assad”
La Stampa
Il segretario di Stato americano, John Kerry ha annunciato, “a nome del presidente Barack Obama” nuovi aiuti da 60 milioni di dollari per l’assistenza alle operazioni dell’opposizione siriana.
Il presidente Obama aveva promesso una svolta nell’impegno americano a sostegno dei ribelli siriani e il suo segretario di Stato Kerry l’ha confermato oggi a Roma nella riunione con la Coalizione nazionale, gli unici rappresentanti ufficialmente riconosciuti dall’occidente dell’opposizione al regime di Assad: Washington invierà dunque altri 60 milioni di dollari in aiuti “non letali”, vale a dire medicine, cibo, equipaggiamento per le comunicazioni, veicoli. Niente armi insomma, contrariamente a quello che speravano i siriani capitanati da Moaz al Khatib. Ma – e questa è la vera novità – stavolta gli aiuti verranno forniti alla popolazione civile così come al Libero esercito siriano (l’opposizione armata). Finora gli Stati Uniti, cha dall’inizio dello scontro nel 2011 hanno mandato agli avversari di Damasco 365 milioni di aiuti umanitari, non si erano mai direttamente relazionati a gruppi armati ma avevano trattato solo con i consigli locali e con le organizzazioni civili.
A vincere la paura occidentale (e soprattutto americana) di favorire le milizie jihadiste che si battono accanto agli insorti è stato da un lato l’aggravarsi della crisi costata già 70 mila vittime e un milione di profughi ma, in particolar modo, l’iniziativa dei sauditi che due mesi fa, sempre più nervosi per il temporeggiamento occidentale, hanno forzato la mano assicurando ai ribelli un cospiscuo arsenale acquistato a Zagabria e fatto passare attraverso il confine giordano. La Casa Bianca, spiega Kerry, ha deciso d’impegnarsi maggiormente «per modificare gli equilibri sul terreno» nella rivolta contro Assad. A Washington la voglia d’impelagarsi in un nuovo conflitto mediorientale è pari a zero ma la guerra civile siriana è ormai una bomba a orologeria e disinnescarla e un imperativo condiviso dai partner europei e dagli 11 Paesi Amici della Siria che si sono incontrati oggi a Roma con l’intenzione di «coordinare gli sforzi» per «rafforzare il popolo siriano e sostenere il Comando militare supremo dell’Esercito libero affinché possa esercitare la legittima autodifesa».
I siriani se ne vanno soddisfatti, ma a metà. Qualcuno lo lascia intendere a bassa voce in arabo. Si aspettavano armi vere e proprie? Di certo ne hanno bisogno. E se John Kerry che tuona «il tempo è scaduto, Assad deve lasciare il potere» rafforza la credibilità della coalizione, l’insistenza americana per una «soluzione politica» lascia un po’ di amaro in bocca. Gli aiuti andranno ora anche al comando militare, e questo è già qualcosa. Ma Damasco si batte senza tregua e il numero di morti aumenta di ora in ora.
Domani la Coalizione nazionale arriverà a Istanbul per designare un primo ministro e un governo per amministrare le zone della Siria liberate dal controllo del regime. Il leader Al Khatib ha chiesto a Roma un impegno per «costringere il regime ad accettare corridoi umanitari a Homs assediata da 250 giorni, e a Deraa» e il segretario di Stato americano ha assicurato che sì, verranno aperti corridoi umanitari nella zona di Homs. Risolvere la crisi siriana con negoziato però è sempre più una chimera, e i ribelli continuano a ripetere all’occidente che l’alternativa alla politica (se questa alternativa non è praticabile) sono le armi (che dal Golfo arrivano già in quantità).
Fonte. www.lastampa.it
28 febbraio 2012