Kenya: la sfida comincia adesso


Davide Maggiore - ilmondodiannibale.globalist.it


Uhuru Kenyatta ha evitato di un soffio il ballottaggio, ma non sono pochi i problemi che si trova di fronte. A cominciare dai suoi guai con la giustizia.


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Il Kenya ha votato e ha scelto Uhuru Kenyatta. Il figlio del 'padre della patria' Jomo ha vinto di misura, con il 50,07 delle preferenze: poche migliaia di voti in meno avrebbero portato il candidato della coalizione Jubilee al ballottaggio con Raila Odinga, l'ex primo ministro, sostenuto dall'alleanza CORD. Il voto, nonostante le paure di molti osservatori, è stato pacifico, così come le ore successive alla proclamazione dei risultati. Ma per il presidente designato le vere difficoltà potrebbero cominciare ora. Pur invitando alla calma i suoi sostenitori e lanciando appelli alla pace, Odinga ha infatti parlato di un risultato elettorale falsato, denunciando irregolarità e dichiarando che presenterà ricorso contro la vittoria del rivale. E quella della magistratura di Nairobi non è l'unica futura sentenza che getta ombre sul nuovo capo di Stato kenyano. Kenyatta, infatti, è in attesa del processo davanti alla Corte penale internazionale, che lo considera uno dei mandanti delle violenze post-elettorali del 2007 – 2008. L'accusa – secondo molti analisti – ha spinto molti elettori a compattarsi, in una sorta di orgoglio nazionale, attorno al cinquantunenne candidato di etnia kikuyu, ma adesso rischia di essere per lui fonte di imbarazzo, se non di emarginazione, sulla scena internazionale. Anche sul fronte interno, passata l'emozione per i risultati, non sono pochi i problemi lasciati irrisolti dal voto. Il primo è la povertà di larghe fasce della popolazione, che il Paese si trascina dietro fin dall'indipendenza, non solo per i problemi strutturali comuni a molti altri Stati africani, ma anche per la questione della distribuzione della terra (e dei proventi delle altre risorse, naturali e non) lasciata irrisolta proprio dal padre di Uhuru. In campagna elettorale molti hanno dubitato che la questione economica possa esser affrontata efficacemente proprio dall'erede di una delle più larghe fortune del Paese. Ad esprimere dubbi è stato, ovviamente, anche Odinga, che però, a sua volta, dispone di grandi ricchezze. 'Uhuru', inoltre, in lingua swahili (uno degli idiomi nazionali del Kenya), significa 'libertà'. Il nuovo presidente saprà garantirla di fronte agli interessi esteri, in un Paese che ha ancora tra i principali partner commerciali l'ex potenza coloniale, la Gran Bretagna? L'innegabile diffidenza con cui dall'estero si guarda alla sua figura di imputato lo porterà ad abbracciare la retorica isolazionista di molti altri leader continentali, che spesso nasconde la svendita del Paese ad altre potenze meno attente al problema dei diritti, Cina in testa? E ancora: che 'Uhuru' ci sarà per quella metà di kenyani che non hanno votato per il neopresidente? Le elezioni concluse senza disordini non significano automaticamente un'assicurazione sulla pace: Kenyatta saprà conservarla dove c'è e riportarla dove non c'è? La sfida non riguarda solo il piano sociale e d interno, ma – per fare un solo esempio – anche la Somalia. Le truppe di Nairobi sono da tempo impegnate nel conflitto e hanno oggi un mandato internazionale arrivato qualche mese dopo l'inizio, nel 2011 dell'operazione 'Linda Nchi' ('Proteggere il Paese') contro i miliziani di al-Shabaab. Sono tante le risposte che il nuovo capo di Stato deve dare e non è solo da Nairobi o dal tribunale dell'Aja che arriveranno sentenze importanti per il futuro di Uhuru e del 'suo' Kenya.

Fonte: http://ilmondodiannibale.globalist.it/
11 marzo 2013

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