Kabul offre la pace ai talebani
il Manifesto
Il presidente Ghani promette immunità e inclusione politica nelle istituzioni se i talebani riconosceranno il governo. Il gruppo diviso tra chi la giudica una resa e chi una vittoria. E chi già guarda al business.
Un lungo discorso in tre lingue: prima inglese, poi dari, infine pashto. Così ieri il presidente afghano Ashraf Ghani ha reso pubblica la più clamorosa offerta di pace mai fatta ai Talebani, il principale gruppo antigovernativo del Paese.
Il discorso si è tenuto nella capitale afghana nell’ambito del Kabul Process II, iniziativa sostenuta dalla comunità internazionale per favorire il negoziato. Una delle tante dal 2001, quando fu rovesciato l’Emirato islamico d’Afghanistan. Finora, le conferenze hanno prodotto poco o nulla di concreto.
Ma l’apertura di ieri di Ghani segna una discontinuità importante. Il presidente afghano, che fin qui aveva alternato tiepide aperture e dure condanne dei Talebani, più di così non poteva spingersi e qualcuno già lo accusa di essersi spinto troppo in là: offre ai barbuti il riconoscimento come partito politico, l’implicita garanzia dell’immunità, la possibilità di rivedere consensualmente la Costituzione, l’inclusione futura nelle istituzioni, il rilascio dei prigionieri, passaporti e visti per i leader e le loro famiglie, lo sforzo per eliminare le sanzioni internazionali che li riguardano, un ufficio politico a Kabul o in un altro Paese.
«Per raggiungere un accordo di pace, vi facciamo un’offerta senza precondizioni», ha sottolineato Ghani, prima di rendere pubblico un documento ufficiale. Dove si dice che è la società afghana a chiedere un cambio di passo. Uno sforzo improntato a compassione «per comprendere la prospettiva di chi combatte», convinzione «per agire secondo i comandamenti di Allah alla ricerca di un terreno comune» e coraggio «per ascoltare proposte diverse per la riconciliazione».
Il presidente Ghani vende l’offerta come incondizionata. Ma chiede ai Talebani ciò che non hanno mai voluto fare: riconoscere la legittimità del governo di Kabul e delle sue leggi. E si gioca la faccia con il vicino più problematico, il Pakistan: «Dimentichiamo il passato e apriamo un nuovo capitolo».
È pronto a barattare il sostegno dei “Paese dei puri” con un «piano per il rientro dei rifugiati afghani in Pakistan entro 18-24 mesi». Una posizione che dovrà difendere di fronte all’opinione pubblica interna, sospettosa verso Islamabad, che continua a sostenere alcune fazioni dei Talebani per controllare la partita afghana e l’India.
Il presidente è convinto che gli interessi economici di lungo termine debbano prevalere sugli intrighi e i sabotaggi di corto raggio: non è un caso che nel suo discorso abbia ricordato l’inaugurazione, di pochi giorni fa a Herat, dei lavori per il tratto afghano della Tapi, la pipeline su cui dovrebbe transitare il gas naturale dal Turkmenistan all’India, attraverso Afghanistan e Pakistan.
Un progetto che anche i Talebani sostengono, come dichiarato giorni fa sul loro sito ufficiale. È il chiodo fisso di Ghani: l’Afghanistan come futuro crocevia energetico e commerciale dell’Asia. Per ora, solo un’ambizione. Con molti ostacoli. Il primo, appunto, è portare al tavolo negoziale i Talebani. Ghani vuole che negozino con lui.
I Talebani vogliono prima farlo con gli americani, perché condizione al dialogo è il ritiro delle truppe straniere. Gli Usa vorrebbero che i due attori si parlassero. Islamabad teme di essere tagliata fuori.
E gli altri attori regionali, Tehran e Mosca in primo luogo, non intendono stare a guardare. Infine, c’è il fronte talebano. Diversificato. Diviso sulla postura da tenere in ambito negoziale, oltre che sul fronte di battaglia. C’è chi ritiene che riconoscere come legittimo il governo di Kabul sia una resa. Chi ritiene che l’attuale posizione di forza preluda a conquiste ulteriori. Chi dice invece che i tempi sono maturi.
E poi c’è il leader, Haibatullah Akhundzada. Sa che un controllo su tutte le componenti dei Talebani è impossibile e che è irrealistico aspettarsi che i duri e puri, come la rete Haqqani, accettino il compromesso. A meno di garanzie concrete. Di soldi. Per questo, bussa da tempo alle porte dei finanziatori internazionali. Molti hanno garantito che, in caso di accordo con Kabul, apriranno i rubinetti. Il futuro dell’Afghanistan passa anche da qui.
Giuliano Battiston
Il Manifesto
28 febbraio 2018