Kabul: lasciano l’Afghanistan i funzionari Ue e Onu espulsi da Karzai


Emanuele Giordana - Lettera22


Bufera diplomatica in Afghanistan. Ma la neve non c’entra. Il mistero dietro la cacciata senza precedenti di due figure di rango costrette oggi a lasciare il paese da "persona non grata".


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Kabul: lasciano l'Afghanistan i funzionari Ue e Onu espulsi da Karzai

Giovedi' 27 Dicembre 2007 

“Misunderstanding”, un’incomprensione. Per ora si gioca tutta su questa parola l’improvvisa bufera diplomatica che ha travolto due funzionari di rango delle Nazioni Unite e dell’Unione europea a Kabul. Definiti “persona non grata” dalle autorità locali ed espulsi dall’Afghanistan da cui partiranno già stamani.


Sarà pure un’incomprensione ma sotto c’è qualcosa di più se un paio di alti funzionari della diplomazia internazionale, non certo due novellini nel paese guidato da Hamid Karzai, sono stati cacciati per minacce alla sovranità del paese. Un’accusa grave, pari quasi allo spionaggio. Anche se pare sia stata commentata da uno degli espulsi – scrive la stampa britannica – come “banale e ridicola” . Tutto è iniziato lunedì.
Avevano viaggiato con destinazione Musa Qala, provincia meridionale di Helmand, l’irlandese Michael Semple, vice capo della missione europea a Kabul diretta da Francesc Vendrell (fuori sede ma che vi sta facendo precipitosamente ritorno) e il britannico (ma lui pure di origine irlandese) Mervyn Patterson, un funzionario dell’Onu distaccato alla missione del Palazzo di Vetro (Unama) in Afghanistan. Le cronache dicono che i due conoscono il paese a fondo e ci hanno lavorato sin dagli anni Ottanta, parlano le lingue locali e hanno evidentemente buone conoscenze sia della delicata architettura tribale del paese che della complessa geometria di una guerriglia sempre più confusa che la fa da padrona nell’Helmand, una delle due grandi regioni praticamente in mano ai talebani.

La loro colpa sarebbe appunto questa: aver trattato con il nemico e aver dunque fatto, come ha spiegato un portavoce del presidente Karzai, qualcosa che non era il loro lavoro e non rientrava nelle loro mansioni.
Ma la reazione durissima del governo di Kabul è apparsa quantomeno strana ed esagerata in un momento in cui lo stesso Karzai ha ripetutamente lasciato una porta aperta alla trattativa coi talebani. O perlomeno con quanti fra loro sarebbero disposti a negoziare una possibile soluzione politica della crisi in cui versa la guerra e il disgraziato paese di cui è presidente. E per altro pare improbabile che Semple e Patterson abbiano deciso il viaggio a Musa Qala, la città simbolo della guerra nel Sud (presa e persa, persa e ripresa ora dai talebani ora dalle forze Nato), senza farne parola con nessuno. La difesa d’ufficio della loro missione, affidata ad Aleem Siddique portavoce di Unama a Kabul, è che non è affatto vero che i due abbiano preso parte a un negoziato coi talebani.

Avrebbero semplicemente avviato contatti coi capi locali, anziani e malik, per “capire” cosa accade sul terreno. Ma a Kabul, e non solo, circola un’altra versione.
Il Telegraph di Londra ha dato conto nei giorni scorsi dei contatti avviati dai servizi segreti britannici proprio coi talebani e nella medesima regione. La notizia che gli uomini del MI6 avevano intavolato colloqui “coperti” con gli uomini in turbante ha sollevato un polverone in Gran Bretagna proprio mentre il premier britannico Gordon Brown spergiura, ricalcando quello che la Bbc chiama il “mantra” degli americani, che Londra non tratta con i terroristi. Ma la stampa britannica avrebbe trovato conferme su numerosissimi appuntamenti segreti tra gli inviati del Secret Intelligence Service (Sis) e i guerriglieri kalashnikov e sharia. La cosa avrebbe indispettito soprattutto gli americani che non gradiscono iniziative personali nemmeno tra quelli che ritengono i loro alleati più fidati nel teatro afgano.
Fonti afgane ci confermano che anche in questo caso, con ogni probabilità, dietro alla cacciata dei due funzionari, più che Karzai ci sarebbero gli americani. E non tanto perché i due espulsi provengono dalle isole al di là della Manica, quanto perché l’iniziativa non proviene da Washington: sarebbe addirittura europea e Onu. E comunque non concordata con chi pretende di aver sempre l’ultima parola sulle questioni afgane. Anche gli americani del resto sono – stando ai si dice ma anche ad alcune dichiarazioni pubbliche come quelle recenti dall’ambasciatore Negroponte – favorevoli a una trattativa.

La palude in cui la guerra arranca, come ammesso anche da Romano Prodi qualche giorno fa, non piace a nessuno. Il problema è chi decide cosa e poiché anche i negoziati, il proseguimento della guerra con altri mezzi e con altri fini, sono un’arma politica, ognuno cerca probabilmente di controllarla. Dalla trattativa in effetti può forse arrivare l’unica vittoria ormai possibile.

Fonte: Lettera 22

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