Italiche bugie
Emanuele Giordana - Lettera22
Una guerra opaca produce opacità. Anche dopo che, almeno per alcuni di coloro che vi presero parte, quella guerra è ormai archiviata. Ma proprio dagli archivi, quelli segreti rivelati da Wikileaks, le opacità continuano a uscire.
Una guerra opaca produce opacità. Anche dopo che, almeno per alcuni di coloro che vi presero parte, quella guerra è ormai archiviata. Ma proprio dagli archivi, quelli segreti rivelati da Wikileaks, le opacità continuano a uscire. Coinvolgono tutti, soprattutto americani e britannici per non parlare dei vertici iracheni, ma non risparmiano neppure l'Italia.
Mentirono, dicono i file desecretati sul sito che fa tremare un po' tutti i Paesi coinvolti nel conflitto iracheno, i soldati italiani che riferirono per la famosa battaglia del ponte di Nassirya come di un conflitto a fuoco nato dalle raffiche provenienti da un furgone nemico nell'agosto del 2004. Da quella che in realtà era un'ambulanza, su cui piovve il fuoco italiano dei lagunari, invece nessuno aveva sparato. Il mezzo poi esplose e, secondo i comandi italiani, fu colpito proprio perché, per primo, aveva fatto fuoco sui nostri soldati.
C'è anche un'altra ipotesi inquietante: nel marzo 2005 morì il parà della Folgore Salvatore Marracino, colpito, durante un'attività addestrativa in Iraq, per un colpo partito accidentalmente mentre tentava di sbloccare l'arma inceppata che stava maneggiando, come recita la conclusione dell'inchiesta aperta dalla magistratura dopo il fatto. Ma per Wikileaks il sergente Marracino, morì forse per un incidente di altra natura: si adombra cioè l'ipotesi del “fuoco amico”. Tornano le ombre sulla morte del sergente italiano che già allora suscitò polemiche e stupore anche perché Marracino non era alla sua prima missione e da otto anni stava nell'esercito.
Ma se su Marracino è un'ombra, per la vicenda della “battaglia dei lagunari” si incrociano adesso due versioni totalmente opposte. Ecco cosa dicono i resoconti americani pubblicati da Wikileaks: “Alle ore 03.25 un automezzo che transitava sul ponte orientale di Nassiriya non si è fermato al checkpoint italiano e veniva conseguentemente ingaggiato con armi leggere. Quindi si è prodotta una grande esplosione, seguita da una seconda da cui si è valutato che il veicolo trasportasse esplosivo”. Era la notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 quando a Nassiriya si verificarono scontri tra i miliziani dell'esercito del Mahdi e i soldati italiani, posti a difesa dei tre ponti sull'Eufrate. L'inchiesta accertò che sul veicolo, secondo i testimoni, si trovavano una donna incinta, la madre, la sorella e il marito. La ricostruzione raccontata da Wikileaks coincide sostanzialmente con quanto scritto nell'inchiesta giudiziaria, ma i militari raccontarono una versione differente: che non si trattava di un'ambulanza ma di un furgone, privo di insegne o di dispositivi luminosi, con a bordo uomini armati che, a un tratto, scesero sparando contro i soldati italiani che avrebbero dunque solo risposto al fuoco nemico.
Mettendo assieme la verità di Wikileaks con il rapporto riservato, scritto tre giorni dopo i fatti dal colonnello dei lagunari Emilio Motolese e reso noto nel 2006, emergerebbe che la versione dei soldati italiani si potrebbe semmai riferire a un episodio distinto, verificatosi un'ora dopo, alle 04.25. I soldati “spararono contro un mezzo che non si era fermato” e quindi iniziò una battaglia nella quale “diversi insorti rimasero uccisi e altri feriti”.
Ce n'è anche per la famosa base di Nassiriya che, raccontano ancora i file di Wikileaks, subì reiterate minacce successivamente alla strage del novembre 2003. E c'è persino qualche notizia in positivo: il 9 marzo del 2005 una pattuglia italiana soccorse un gruppo di poliziotti iracheni, mentre tentavano di liberare due ostaggi. Erano stati attaccati da un gruppo armato e si erano rifugiati nella sede di una Ong americana.
Ma le notizie buone sono poche. Il fango, vero o presunto che sia, parecchio. Se gli americani ci sono abituati (un po' meno gli italiani) il colpo duro è per gli iracheni. E forse proprio per questo il premier iracheno, Nuri al-Maliki, ha dato il via libera alla nascita di una commissione d'inchiesta interministeriale che indaghi sulla veridicità e sui fatti riportati dai documenti pubblicati. Al suo vertice c'è il ministro della Giustizia Dar Noureddine, il quale dovrà indagare sui casi di violazione dei diritti umani commessi dalle forze irachene. Un modo saggio di parare il colpo. Il ministro La Russa invece non ci ha proprio pensato. Del resto, come ha precisato: “…si tratta di episodi molto precedenti al mio incarico”.
Fonte: Lettera22
26 ottobre 2010