Israeliani e palestinesi in gita a Washington
Michele Giorgio, Il Manifesto
Partono oggi i nuovi negoziati diretti tra Israele e Anp fortemente voluti dal presidente Usa Barack Obama.
Barack Obama avrà oggi a Washington ciò che ha cercato per un anno e mezzo: portare israeliani e palestinesi a riprendere i negoziati diretti. L’obiettivo dichiarato del presidente americano è quello di sostenere le due parti a raggiungere entro un anno un accordo-quadro da applicare gradualmente negli anni successivi. Vuole guadagnarsi un posto nella storia Obama. Più di tutto vuole ottenere un nuovo mandato ed è convinto che il prestigio derivante da un accordo tra Israele e palestinesi gli consentirà di tenere in tasca per altri quattro anni le chiavi della Casa Bianca.
Ma le probabilità che ciò si realizzi grazie al negoziato mediorientale sono molto basse. Obama rischia di rimanere a bocca asciutta come il suo predecessore democratico Bill Clinton, che nel luglio 2000 non esitò ad imporre a israeliani e palestinesi il vertice di Camp David, terminato in un fallimento completo e sfociato nell’esplosione, qualche mese dopo, della seconda Intifada palestinese contro l’occupazione.
Più di Obama rischia il presidente dell’Anp Abu Mazen che, senza avere ottenuto lo stop della colonizzazione israeliana in Cisgiordania e Gerusalemme Est, ha accettato di riprendere “senza precondizioni” il negoziato diretto con Israele. Un fallimento metterebbe ancora più in crisi l’Autorità nazionale palestinese che si regge in piedi soltanto grazie alle donazioni dei paesi occidentali. Abu Mazen peraltro ha scelto di andare alla trattativa con Israele prima della riconciliazione con il movimento islamico Hamas che dal 2007 controlla Gaza – rendendo ancora più precaria la sua autorità.
“Stiamo lavorando con l’Amministrazione Usa per formulare il comunicato” che darà il via ai colloqui diretti, riferiva soddisfatto ieri sera il capo negoziatore dell’Anp Saeb Erekat, dopo i colloqui preliminari e separati che Obama ha avuto con Netanyahu e Abu Mazen. Erekat ha aggiunto che oggi “si svolgerà un incontro a tre al Dipartimento di Stato di Abu Mazen, del premier israeliano Benyamin Netanyahu e del Segretario di Stato Usa Hillary Clinton”, al termine del quale l’inviato speciale per il Vicino Oriente, George Mitchell, leggerà il comunicato alla stampa. E’ possibile anche un incontro bilaterale tra Netanyahu e Abu Mazen. Il menù politico è vecchio, non è cambiato dalla Conferenza di Madrid di 19 anni fa. Al centro dei colloqui saranno Gerusalemme, il diritto al ritorno per i profughi palestinesi, le risorse naturali, la sicurezza di Israele, i confini dello stato di Palestina. Ma il piatto nuovo, ben pepato, che Netanyahu servirà ad Abu Mazen è il riconoscimento palestinese di Israele quale Stato del popolo ebraico. E’ questo il punto centrale sul quale insisterà il premier, con l’appoggio del suo ministro della difesa Ehud Barak (che parla ora di restituzione da parte di Israele di “porzioni” di Gerusalemme est, quelle periferiche e densamente popolate da palestinesi ovviamente) e della leader dell’opposizione Tzipi Livni. Un “sì” di Abu Mazen chiuderebbe definitivamente una questione che in 62 anni i leader israeliani non sono riusciti a rimuovere dall’agenda diplomatica: la determinazione dei profughi palestinesi a tornare nella loro terra d’origine, come prevede la risoluzione 194 dell’Onu.
Ma Netanyahu ha parecchie frecce al suo arco e non teme come Abu Mazen un fallimento del negoziato visto che, in ogni caso, Israele conserverà il controllo dei territori palestinesi. Il premier israeliano ieri ha sganciato il primo siluro contro le trattative. Ha comunicato al segretario di stato Hillary Clinton che non intende prolungare la moratoria sulla costruzione di nuovi insediamenti da parte dei coloni israeliani in Cisgiordania. Il “congelamento”, più simbolico che reale iniziato lo scorso novembre, scadrà alla fine di settembre. La decisione era scontata ma Netanyahu ha deciso di annunciarla subito, in risposta all’attacco armato dell’altra sera vicino Hebron, rivendicato dal braccio armato di Hamas, in cui sono rimasti uccisi quattro coloni. Non si è lasciato impressionare dal massiccio rastrellamento compiuto dai servizi di sicurezza di Abu Mazen nelle aree autonome della Cisgiordania che ha portato, secondo alcune fonti, al fermo o all’arresto di circa 300 attivisti veri e presunti del movimento islamico, tra i quali il deputato di Hamas, Omar Abdel Raziq. “Abu Mazen sta cercando di dire agli israeliani di essere in grado di fare il suo lavoro”.
“Una ripresa della colonizzazione vedrà la fine dei negoziati – ha avvertito ieri un portavoce della delegazione palestinese nella capitale americana – La colonizzazione deve cessare. Il suo proseguimento significherà la fine del processo di pace”. Ma Abu Mazen largamente dipendente dagli aiuti economici occidentali, con Obama che conta anche sulla ripresa del negoziato mediorientale per dare ossigeno alla campagna dei Democratici per le elezioni di mid-term, avrà la forza di lasciare il tavolo del negoziato come afferma? Ben pochi lo credono possibile.
Fonte: Il Manifesto
2 settembre 2010
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USA – Diktat alla Turchia su esercitazioni militari
Washington mette sotto pressione Ankara sulla questione dei rapporti con Israele. Dopo aver minacciato la sospensione delle forniture di armi alle forze armate turche, gli Stati Uniti hanno messo in chiaro che non parteciperanno all’esercitazione militare congiunta in Turchia, in programma per ottobre, se non sarà data anche a Israele la possibilità di prendervi parte. E’ questo, secondo il quotidiano turco Hurriyet, il messaggio che l’Amministrazione Obama ha inviato ad Ankara, dopo che gli inviti per l’esercitazione aerea in Turchia “Anatolian Eagle” sono stati inviati a una lista di paesi che non include Israele. Lo scorso anno la Turchia aveva escluso Israele dall’esercitazione per la prima volta, a causa delle tensioni sorte tra i due ex alleati dopo l’offensiva israeliana Piombo Fuso contro Gaza. Sui rapporti tra i due paesi pesano anche i nove turchi rimasti uccisi lo scorso 31 maggio nell’arrembaggio di commando israeliani alla nave pacifista Mavi Marmara.