Israele sperimenta le “bombe sporche”


Michele Giorgio, Il Manifesto


Dal 2010 sono stati eseguiti nel Neghev una ventina di test di questi ordigni che i terroristi minacciano di usare ma che potrebbero essere impiegati anche da uno Stato.


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negev

 

Sono bombe che piac­ciono molto ai fana­tici, come quelli dell’Isis, ma che potreb­bero essere usate in deter­mi­nate cir­co­stanze anche da uno Stato vero e pro­prio con­tro i suoi avver­sari. Par­liamo delle cosid­dette “bombe spor­che”, armi pen­sate per spar­gere mate­riale radioat­tivo, uti­liz­zando esplo­sivi con­ven­zio­nali. Non sono vere armi nucleari, né’ hanno lo stesso potere distrut­tivo, in ogni caso sono peri­co­lose. Israele le ha testate per quat­tro anni, nel deserto del Neghev, nel qua­dro del pro­getto “Campo Verde”, a breve distanza dalla cen­trale nucleare di Dimona dove, secondo esperti inter­na­zio­nali, pro­dur­rebbe il plu­to­nio per il suo arse­nale ato­mico segreto. Lo ha scritto un paio di giorni fa il quo­ti­diano Haa­retz e le sue rive­la­zioni non sono state con­fer­mate ma nep­pure smen­tite da fonti uffi­ciali. Nes­suno inol­tre ha sen­tito il dovere di ras­si­cu­rare la popo­la­zione civile, tenuta per anni all’oscuro di tutto.

Dal 2010 sono stati ese­guiti nel Neghev una ven­tina di test, “di carat­tere difen­sivo”, ha pre­ci­sato Haa­retz, volti a veri­fi­care gli effetti delle esplo­sioni delle “bombe spor­che”. Gli ordi­gni più pic­coli erano di 250 grammi e quelli più grandi di 25 chi­lo­grammi. Le deto­na­zioni sono avve­nute in zone aperte e in ambienti chiusi. In alcuni casi il mate­riale radioat­tivo è rima­sto abban­do­nato sul ter­reno, in modo da accer­tare, nel corso del tempo, la dif­fu­sione e l’intensità delle radia­zioni. In un altro caso gli scen­ziati israe­liani hanno pro­vato a veri­fi­care se fosse pos­si­bile disper­dere il mate­riale radioat­tivo misto ad acqua nel sistema di ven­ti­la­zione di un edi­fi­cio. Espe­ri­menti rischiosi per il quale è stato usato il Tech­ne­tium 99m, per­chè facil­mente rile­va­bile dai sen­sori e per la sua rare­fa­zione rapida. A moni­to­rare le deto­na­zioni sono stati pic­coli droni. Dopo quat­tro anni di espe­ri­menti, ha con­cluso Haa­retz, la sen­sa­zione è stata che l’esplosione di “bombe spor­che” in zone aperte ha un impatto soprat­tutto psi­co­lo­gico sulla popo­la­zione men­tre in un ambiente chiuso potrebbe pro­vo­care una con­ta­mi­na­zione seria e i suc­ces­sivi lavori di boni­fica richie­de­reb­bero un lungo periodo.

Da un lato, stando al reso­conto fatto da Haa­retz, gli espe­ri­menti hanno avuto un carat­tere difen­sivo, per la pro­te­zione dei civili di fronte alle minacce lan­ciate da gruppi ter­ro­ri­stici. Dall’altro non è affatto escluso l’impiego delle “bombe spor­che” anche da parte delle forze armate di uno Stato. Ad esem­pio, un attacco all’Iran con que­sto tipo di armi, oltre a quelle con­ven­zio­nali, con­tro siti di ricerca e basi mili­tari, ossia ambienti chiusi, avrebbe il risul­tato di ren­dere inu­ti­liz­za­bili per un lungo periodo edi­fici e strut­ture di impor­tanza stra­te­gica. D’altronde negli stessi anni in cui nel Neghev si spe­ri­men­ta­vano gli effetti delle “bombe spor­che”, il governo israe­liano, anche allora gui­dato da Benya­min Neta­nyahu, era sul punto di lan­ciare un attacco con­tro le cen­trali ato­mi­che ira­niane. La vicenda è ritor­nata alla ribalta pro­prio nelle ultime ore, in occa­sione di un dibat­tito alla con­fe­renza annuale negli Stati Uniti del gior­nale israe­liano The Jeru­sa­lem Post, quando la edi­to­ria­li­sta ultra­na­zio­na­li­sta Caro­line Glick, ha accu­sato fron­tal­mente l’ex capo del Mos­sad Meir Dagan e l’ex capo di stato mag­giore Gabi Ash­ke­nazi di aver respinto l’ordine rice­vuto dal primo mini­stro di pre­pa­rare e attuare entro un mese un raid mili­tare con­tro gli impianti ato­mici iraniani.

Il fatto che l’Iran e le potenze del 5+1 (i mem­bri per­ma­nenti del CdS dell’Onu più la Ger­ma­nia) siano vicini ad un’intesa sul nucleare — attesa per la fine del mese — non ha in alcun modo spinto il governo Neta­nyahu a chiu­dere in un cas­setto i piani di attacco israe­liani. E nel con­te­sto dei con­tatti al livello più alto sulle que­stioni regio­nali, gli Stati Uniti hanno inviato in Israele il capo dello stato mag­giore con­giunto Mar­tin Demp­sey e il capo della Cia John Bren­nan. Demp­sey è arri­vato un paio di giorni fa, su invito dell’omologo israe­liano Gadi Eisen­kot. Bren­nan invece ha com­piuto la scorsa set­ti­mana una mis­sione segreta durante la quale è stato rice­vuto da Netanyahu.

Fonte: http://nena-news.it

10 giugno 2015

 

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