Israele, ruspe contro case dei beduini nel Neghev
Michele Giorgio - Near Neast News Agency
Ma anche su quelli in Cisgiordania incombe il trasferimento forzato. I coloni israeliani intanto chiedono la demolizione della “scuola di gomma” frequentata dai bambini della comunità di Khan al-Ahmar.
Nel deserto del Neghev, su un palo all’ingresso del villaggio beduino al Asra, un abitante ha inchiodato un triangolo con il simbolo del divieto d’ingresso. I bambini incuriositi osservano questo « Altolà » improvvisato, che non basterà a fermare i bulldozer che arriveranno a demolire le case. La gente di al Asra vive in questo deserto da generazioni, possiede un passaporto israeliano ma non ha mai ottenuto il riconoscimento del villaggio. Non hanno strade, acqua, elettricità, servizi: Al Asra non esiste per le autorità. Gli israeliani ebrei invece vengono incoraggiati a insediarsi nel Neghev per far «fiorire il deserto», come recita un vecchio e ben noto slogan propagandistico.
A poco è servita la manifestazione del mese scorso a Beersheva, la «capitale» del Neghev dove migliaia di beduini si sono riuniti per protestare contro la «Nakba del terzo millennio». Il governo Netanyahu, sulla base del piano quinquennale Prawer, ha deciso di ricollocare con la forza 30 mila beduini in sette township costruite negli anni ‘70 – come Rahat, Kseifa e Hura – eliminando i «villaggi non riconosciuti». Prevede anche risarcimenti economici, ma ha deciso tutto senza avviare alcun dialogo con i rappresentanti delle tribù beduine, dimenticando il contributo che non pochi membri di questa minoranza danno al paese svolgendo volontariamente il servizio militare. «Vogliono strapparci via dal nostro ambiente, dalle terre, vogliono annientare la cultura beduina», si lamenta Khalil Alamur, insegnante della scuola di al Asra creata autonomamente dagli abitanti del villaggio.
Alamur possiede documenti ufficiali, con timbri del 1921 risalenti al periodo del Mandato Britannico sulla Palestina, che provano l’appartenza alla sua famiglia di diverse terre del villaggio. Certo, la sua abitazione è stata costruita illegalmente, ma dal 1965 in poi per gli Alamur e gli altri abitanti di al Asra non è più stato possibile ottenere un permesso: la legge di pianificazione edilizia approvata quell’anno dalla Knesset ignorava del tutto l’esistenza del villaggio. I beduini di fatto sono considerati degli abusivi che occupano terra dello Stato, colpevoli di reclamare la proprietà di 160 mila acri, pari al 4.9% dell’area totale del Neghev. Una percentuale che il governo considera troppo alta, da ridurre subito. Nel piano Prawer è perciò centrale il ruolo della «Bedouin Settlement Authority», che invece di aiutare i beduini del Negev tende a controllarli e scacciarli.
In nessuna considerazione sono state tenute le proposte alternative, presentate dal Consiglio Regionale dei Villaggi non Riconosciuti (Rcuv) di legalizzare 35 villaggi e garantire un piano per il loro sviluppo. Molti abitanti di al Asra sono decisi a resistere: come la gente di Araqib, a un’ora di auto, che ha ricostruito il villaggio ridotto in macerie per ben 29 volte dai bulldozer perché «illegale». «Il mio obiettivo è mantenere le mie tradizioni e vivere come un beduino» dice Khalil Alamur: «Trasferendomi con la mia famiglia \ perderò tutto ciò che appartiene alla mia cultura».
Il rischio più concreto è quello di finire in un ghetto. Rahat, con i suoi 53mila abitanti la più grande delle sette township, è in cima alle classifiche nazionali per disoccupazione (37%) e metà della sua popolazione vive sotto la soglia di povertà. Lo sviluppo promesso giorni fa dal premier Netanyahu appare un miraggio, se non un inganno, alla popolazione beduina. Rahat riceve ogni anno dallo Stato 153 milioni di shekel, meno della metà del 380 milioni garantiti alla vicina cittadina di Kiryat Gat, abitata da israeliani ebrei.
Ma il «transfer» non riguarda solo il futuro immediato dei beduini del Neghev. Rischiano forte anche quelli in Cisgiordania. L’Amministrazione Civile Israeliana nei Territori occupati ha reso noto un piano per espellere oltre 27.000 beduini che vivono nell’area C (il 60% della Cisgiordania, che a 18 anni dalla firma degli Accordi di Oslo tra Israele e Olp resta sotto il completo controllo dell’esercito israeliano) in un arco di tempo che va dai 3 ai 6 anni.
La prima fase di questo trasferimento forzato inizierà a gennaio 2012 e interesserà subito 2.300 beduini residenti nell’area intorno all’insediamento israeliano di Maale Adumim che verranno spostati vicino alla discarica di Abu Dis, pochi chilometri a est di Gerusalemme. In pericolo è anche l’ormai famosa «scuola di gomma» costruita con i copertoni, frequentata dai bambini della comunità di Khan al-Ahmar che da generazioni vivono tra Gerusalemme e Ramallah. I coloni dei vicini insediamenti israeliani, costruiti in violazione delle leggi internazionali, chiedono il «rispetto della legalità» e vogliono che l’esercito e l’Amministrazione Civile attuino l’ordine di demolizione della scuola promulgato nel 2009 – lasciando senza istruzione primaria decine di bambini.
Fonte: NenaNews
9 novembre 2011