Israele prepara i cittadini alla guerra all’Iran


Michele Giorgio, Il Manifesto


Si organizzano i rifugi sotterranei, si fanno esercitazioni di protezione civile. Pronto un sistema di allarme via sms. Netanyahu potrebbe attaccare prima delle presidenziali Usa


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Non occorre conoscere l’ebraico. Un semplice turista può facilmente capire l’argomento che da giorni occupa le prime pagine dei giornali israeliani. Le immagini sono eloquenti, immancabile quella del cacciabombardiere sullo sfondo di una mappa dell’Iran, con indicati tutti i siti nucleari. Il mondo, come ben spiegava Aluf Benn domenica scorsa in un editoriale su Haaretz, tace e non reagisce. «Un silenzio assordante». La comunità internazionale, come tanti amano definirla, si è abituata alla retorica bellica del premier Netanyahu o, peggio, si è rassegnata al fatto che Israele presto o tardi attaccherà le centrali atomiche iraniane facendo precipitare il Medio Oriente nel baratro di un nuovo conflitto. Come se non bastasse già la devastante guerra civile siriana.

Eppure l’attacco israeliano all’Iran pare davvero molto vicino, lo dice l’accelerazione che ha subito la preparazione dei sistemi di protezione civile. Entro settembre sarà pienamente operativo il sistema di allarme attraverso la telefonia mobile. I test sono in corso da alcuni giorni. Dovessero i satelliti americani e israeliani individuare in volo un missile balistico diretto verso il territorio dello Stato ebraico, i cittadini in possesso di un telefono cellulare riceveranno un sms di allarme inviato dal Comando del Fronte Interno e avranno a disposizione qualche minuto per raggiungere il rifugio più vicino. Contemporaneamente l’urlo delle sirene, anche attraverso le radio e le televisioni, lancerà l’allarme più forte.

Il text messaging è solo uno dei segnali più visibili della preparazione alla risposta iraniana ad un probabile attacco aereo israeliano. I vertici militari israeliani non hanno una posizione unica sulle capacità belliche di Tehran. Secondo alcuni alti ufficiali, la rappresaglia potrebbe rivelarsi devastante visti i progressi in campo missilistico fatti dall’Iran negli ultimi anni. Altri, più vicini al premier Netanyahu, la minimizzano. Anzi puntano l’indice contro i nemici di sempre, gli Hezbollah libanesi che, affermano, potrebbero dare una mano agli alleati iraniani lanciando razzi verso le città israeliane, come nel 2006.

E’ evidente che i sistemi antimissile Arrow e antirazzo Iron Dome, frutto di investimenti per centinaia di milioni di dollari, in parte donati dagli alleati americani, potranno bloccare solo una frazione dei missili balistici che l’Iran sparerà contro Israele. I rifugi pubblici e quelli nelle case restano la protezione principale a disposizione dei civili israeliani. A conferma che la guerra è alle porte, il comune di Tel Aviv ha diffuso nei giorni scorsi una mappa dettagliata dei 241 rifugi pubblici della città, in grado di ospitare circa 40mila persone. «Di questi 111 sono dotati di filtri dell’aria in caso di un attacco chimico», ha tenuto a sottolineare un rappresentante della municipalità.

Gran parte della popolazione israeliana tuttavia sceglierà il rifugio “privato”. Tutte le case e gli appartamenti israeliani costruiti dopo il 1992 hanno per legge un rifugio. Si sente parlare poco di maschere antigas, almeno rispetto al passato. Gli attacchi degli Stati Uniti contro l’Iraq dal 1991 in poi furono preceduti da intese campagne di sostituzione e distribuzione delle maschere antigas ai tutti i cittadini (ma non ai palestinesi sotto occupazione israeliana nei Territori).

Netanyahu che si accinge a nominare un nuovo responsabile per il Comando del Fronte Interno, si sente sicuro. Domenica scorsa, al meeting settimanale del governo, ha detto che il paese è pronto a tutto, che i civili sono adeguatamente protetti dai sistemi Iron Dome e Arrow, lasciando così intendere che l’attacco all’Iran è imminente, avverrà forse prima delle presidenziali americane, come ha annunciato qualche giorno fa il quotidiano Yediot Ahronot.

Forte dell’appoggio del ministro della difesa Ehud Barak, il primo ministro è deciso ad andare alla guerra nonostante i sondaggi d’opinione contrari e la contrarietà, almeno apparente, dell’Amministrazione Obama. Gli analisti invece frenano. Sostengono che Israele attaccherà solo quando lo faranno gli Stati Uniti. «I giornali si aspettavano qualche medaglia dalle Olimpiadi di Londra e quando non sono arrivate, si sono ritrovati con un bel po’ di pagine da riempire. In realtà non c’è nulla di nuovo», ha commentato Meir Elran, direttore del programma per la sicurezza nazionale del think tank “Inss”. I preparativi della guerra però ci dicono il contrario.

Il Manifesto

15 agosto 2012

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