"Israele festeggia i suoi 60 anni, la nostra Palestina ancora non c’è"
Umberto De Giovannangeli - L'Unità
L’intervista. Il premier dell’Anp prima dell’incontro con il presidente Usa: trattativa in stallo, a Bush chiederemo di premere su Olmert.
“Al presidente Bush illustreremo una situazione che non può indurre all’ottimismo, che non offre elementi per guardare al futuro con accresciuta speranza. Certo, l’atmosfera è migliorata, i toni sono più concilianti, ma non basta l’atmosfera per rafforzare le chance di pace. La realtà, purtroppo è un’altra: i blocchi e gli insediamenti di coloni sono aumentati. Francamente, non so che farmene di colloqui cordiali se poi non si mantiene quanto deciso in quegli stessi colloqui”. Nel giorno dell’arrivo di Gorge W. Bush in Israele, la parola a Salam Fayyad, primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese.
Signor primo ministro, Israele festeggia i sessant’anni della sua nascita. Con quale spirito i palestinesi vivono questo avvenimento?
“Con la sofferenza propria di chi attende ancora di veder riconosciuto pienamente il proprio diritto ad uno Stato indipendente, da realizzare nei territori occupati da Israele nel 1967; uno Stato con Gerusalemme Est come sua capitale. I festeggiamenti avrebbero senso se si celebrasse assieme allo Stato d’Israele, una pace giusta e duratura.
Israele festeggia mentre il popolo palestinese sta soffrendo. È una contraddizione che pesa come un macigno sul presente di due popoli”.
Oggi il presidente degli Stati Uniti prenderà la parola alla Knesset, il parlamento israeliano, nel giorno in cui i palestinesi ricordano la “Naka”, la catastrofe, il giorno dell’indipendenza di Israele.
“Quella ferita collettiva può essere rimarginata solo realizzando una pace giusta, duratura. Una pace tra pari, fondata sulla legalità internazionale e ispirata al principio di due popoli, due Stati. È questo l’impegno assunto dal governo da me guidato e dal presidente Abbas. Ma la pace è un “working in progress”, e purtroppo questo “cantiere non sta andando avanti come dovrebbe…”.
Il primo ministro israeliano Ehud Olmert parla di significativi passi in avanti.
“Mi è difficile condividere l’ottimismo del primo ministro d’Israele. Purtroppo le cose non stanno così. Certo, i colloqui tra le due delegazioni si svolgono in un’atmosfera cordiale, tutti i dossier sono sul tavolo, ma non è l’atmosfera a fare la sostanza. Il dialogo ha bisogno di risultati concreti per rafforzarsi, e questi risultati stentano a realizzarsi: penso alla presenza dei soldati israeliani in Cisgiordania e allo sviluppo degli insediamenti ebraici; penso all’aggressività dei coloni, alla sofferenza della popolazione di gaza da oltre un anno sotto assedio…”.
Tra i nodi da sciogliere, uno dei più intricati è quello del diritto al ritorno dei profughi palestinesi del ’48.
“Un diritto sancito da una risoluzione delle Nazioni Unite e come tale va riconosciuto e rispettato; sta poi al negoziato tra le parti definire la sua concreta realizzazione…”.
Israele teme che il “diritto al ritorno” sia utilizzato dai palestinesi per cancellare l’identità ebraica dello Stato d’Israele.
“Su questo punto la nostra posizione è chiara e netta: il diritto al ritorno va inquadrato all’interno della creazione di uno Stato palestinese. Non c’è alcuna minaccia all’identità di Israele, ma nessuno può chiederci di considerare i palestinesi della diaspora come una scoria del passato, come palestinesi di serie b. Il popolo palestinese è uno solo.
Il raggiungimento di una tregua a Gazza potrebbe aiutare il rilancio del negoziato?
“Certamente si, e anche di questo parleremo con il presidente Bush nell’incontro di venerdì a Sharm el Sheik. Al presidente Bush chiederemo di agire su Israele perché sia posto fine a quelle punizioni collettive che producono solo sofferenza nella popolazione di Gaza senza peraltro indebolire i gruppi estremisti”.
È ancora possibile, come auspicato nuovamente dal presidente Usa, il raggiungimento di un accordo di pace fra Israele e Anp entro il 2008?
“Francamente mi pare difficile, molto difficile, ma proprio la consapevolezza di queste difficoltà dovrebbe moltiplicare gli sforzi per rimettere sui giusti binari il negoziato di pace”.
Fonte: L'unità
15 maggio 2008