Iraq, caccia al cristiano
La redazione
La denuncia del vescovo caldeo di Baghdad, Shlemon Warduni dopo i 52 morti nell’assalto alla Chiesa. A seguire l’analisi di Daniele Mastrogiacomo.
Monsignor Shlemon Warduni è vescovo cattolico di Baghdad, guida spirituale dei Caldei e membro in Vaticano del Consiglio Speciale per il Medio Oriente.
Si sarebbe mai aspettato un bagno di sangue in una chiesa?
«Una tragedia del genere era impensabile persino in un Paese senza sicurezza né stabilità come l’Iraq. Ma ormai purtroppo ormai nessuno può prevedere dove possa arrivare una violenza che non risparmia più niente e nessuno. Come minoranza siamo un bersaglio costante e conviviamo con un logorante senso di precarietà e di timore costante. Il sacrificio di questi nostri fratelli dimostra a che punto di follia si è arrivati. Neppure quando si prega in una chiesa si è al riparo dalla persecuzione del terrorismo. Questo martirio è rivolto al mondo intero perché è tutta l’umanità a precipitare nell’abisso se si muore per essere andati a una messa. Ormai uscire equivale già a mettere a repentaglio la propria vita, nessuno è certo di tornare a casa la sera. In qualche modo mi sento in colpa anch’io per i miei fedeli».
Perché?
«Noi vescovi cerchiamo sempre di tranquillizzare i cristiani e di spingerli a rimanere in Iraq. Li esortiamo di continuo a non emigrare. Poi succedono fatti come questi, aberrazioni che cancellano ogni argine di civiltà e ciò che diciamo perde attendibilità, anzi sembra controproducente. I fedeli mi domandano cosa devono fare, sono terrorizzati, mi interrogano su quale sia il disegno di Dio per loro. Non capiscono perché debbano subire un male così crudele. La gente è sconcertata e ci chiede come sia possibile rimanere in una situazione del genere. Il massacro a Nostra Signora del perpetuo soccorso costituisce l’angosciante dimostrazione che in Iraq non c’è più la minima certezza. Dov’è la coscienza quando si calpesta la religione?».
E lei cosa risponde?
«Viene lo sconforto anche a me davanti ai lenzuoli bianchi di persone miti, uccise in chiesa. C’è anche il corpicino senza vita di una bambina. Per non cadere nella disperazione quaggiù le persone devono avere una fede talmente forte da essere addirittura pronte come cristiani alla testimonianza estrema, alla morte. Ma non si può pretendere da tutti una fede eroica, perciò anche in Occidente ci si deve fare carico di questa condizione di terrore costante. Nessuno ci spiega da dove arrivano le armi delle bande che si muovono indisturbate dentro e fuori i nostri confini».
Nell’anarchia irachena vede la mano dell’Iran o di Bin Laden?
«Io non sospetto nessuno, è la corte internazionale a dover stabilire chi ci sta massacrando. Noi ci aspettiamo l’aiuto di Dio che ci ha creato e fatti vivere qui e delle persone di buona volontà che possono sensibilizzare i governi e l’Onu a non abbandonarci al nostro destino. Come pastore posso solo pregare per le vittime e per la conversione del cuore indurito dei terroristi».
Fonte: la Stampa
di Giacomo Galeazzi
1 novembre 2010
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L'ANALISI di Daniele Mastrogiacomo
Quel ramo iracheno di al Qaeda che sparge sangue e terrore
La morte di Al Zarkawi nel 2006 non ha significato la resa. L'attacco alla chiesa nel cuore di Bagdad lo dimostra. Come il tentativo di rinfocolare una guerra di religione sopita solo in parte quella tra copti e musulmani
IL RAMO iracheno di Al Qaeda non è mai stato sconfitto. Nonostante la morte di Abu Mussa al Zarkawi, leader incontrastato del gruppo, durante un blitz delle forze americane il 7 giugno del 2006, gli uomini di Osama Bin Laden sembrano aver acquistato nuova forza e soprattutto nuove leve sin dalle elezioni politiche del marzo scorso. L'attacco sanguinoso alla chiesa di "Nostra signora della salvezza" di rito cattolico orientale, nel cuore di Bagdad, lo dimostra chiaramente.
Il commando, formato da nove uomini che indossavano divise militari, armati con fucili automatici e granate, è riuscito a mettere in scacco le forze di sicurezza irachene. Come diversivo si sono prima diretti verso il nuovo palazzo della Borsa della capitale. Hanno fatto esplodere un'auto bomba, ucciso i due poliziotti di guardia all'esterno e poi, simulando una fuga, si sono diretti verso il loro vero obiettivo: la chiesa di Sayida An Nayà. In quel momento, all'interno della basilica, erano radunati oltre cento fedeli. Una decina era donne e bambini. Stavano partecipando alla messa della vigilia di Ognissanti. Il commando ha sparato delle raffiche in aria, ha ucciso con un colpo a bruciapelo uno dei quattro sacerdoti presenti. La folla è stata presa dal panico. Una decina dei presenti è riuscita a fuggire. Ma la maggioranza si è accalcata verso l'altare e ha tentato di rintanarsi nella sagrestia. Qui è stata sopraffatta e sotto la minaccia della armi costretta a tornare sotto la navata principale. Alcuni dei presenti sono riusciti a telefonare all'esterno e a lanciare l'allarme. Ma sono stati gli stessi terroristi dello "Stato islamico in Iraq", gruppo affiliato ad "Al Qaeda tra i due fiumi", a chiamare le emittenti locali e a spiegare l'obiettivo dell'azione.
Hanno rivendicato l'incursione e hanno spiegato che faceva parte di una campagna contro "i luoghi osceni dell'idolatria che sono abitualmente utilizzati dai cristiani iracheni come quartiere generale per combattere contro la religione dell'islam". La stessa motivazione, più articolata, è stata ribadita in un comunicato messo in rete dal gruppo legato ad Al Qaeda. Alla base dell'attentato ci sarebbe la vicenda di due donne egiziane, Camelia Shehata e Wafa Constantine, mogli di due preti copti, che si sono convertite all'islam ma tenute prigioniere all'interno di un monastero e delle quali si chiede la liberazione.
La scusa non è banale. Fare leva su un caso che riguarda l'Egitto, percorso già in passato da scontri tra copti e musulmani, con sparatorie e uccisioni sempre sui sagrati delle chiese, può accendere i sentimenti di una guerra di religione sopita solo in parte. L'odio settario ha consentito ad "Al Qaeda tra i due fiumi" di provocare la più grande mattanza mai denunciata in Iraq. Fu al Zarqawi ha proclamare la guerra contro gli sciiti nel momento in cui si sentiva più forte. Fu sempre lui a progettare e portare a termine l'attentato contro la moschea d'oro di Samarra, il simbolo più sacro degli sciiti in Iraq. Solo il sangue, con migliaia di vittime, riuscì a placare la reazione dell'Esercito del Mahdi e degli uomini di Moqtada al Sadr. Ma la forza dirompente di "al Qaeda tra i due fiumi" fu arginata solo con l'accordo tra i militari Usa e i capi clan sunniti che chiesero e ottennero di risolvere da soli quella che consideravano la vera minaccia per una possibile pace nel paese. Gli uomini di al Zarqawi si trovarono a fare i conti con le "Milizie del Risveglio" e nel giro di pochi mesi la grande regione di Al Anbar, dove si trovano Falluja e Ramadi, roccaforti della resistenza, ritrovò un suo equilibrio e al Qaeda fu costretta a ripiegare verso nord, a Mossul.
La nuova incursione di al Qaeda in Iraq si spiega anche con lo scioglimento delle "Milizie del Risveglio". Con l'uscita di scena dei marines, decine di migliaia di sunniti (si calcola 80 mila) si sono ritrovati senza un ruolo preciso e attivo e, soprattutto, senza paga. Gli americani hanno lasciato il campo, si sono chiusi nelle loro caserme e hanno abbandonato al loro destino un vero esercito di combattenti. La vittoria schiacciante degli sciiti alle ultime elezioni ha messo in allarme la comunità sunnita. Il nord del paese è continuato ad essere nella mani dei curdi, le regioni del sud sono rimaste in quelle degli sciiti. Il centro è ancora dominato dai sunniti. Ma è più arido e soprattutto senza petrolio. Il ruolo svolto dai capi tribù di al Anbar si è di colpo esaurito.
I miliziani del "Risveglio" si sono sentiti abbandonati e sin dal settembre scorso si è assistito ad una lenta ma costante diaspora verso i gruppi della resistenza rimasti attivi e verso al Qaeda. Il fenomeno è stato segnalato dai servizi di intelligence iracheni. Le defezioni non riguardano figure di spicco delle milizie create e volute, con successo, dal generale David H. Petraeus, oggi a capo della coalizione internazionale in Afghanistan. Ma una massa di semplici soldati che hanno di nuovo saltato il fosso e sono andati a rafforzare la resistenza e i combattenti di Al Qaeda. Con tutta l'attrezzatura tecnologica e le armi sofisticate fornite dagli americani.
Fonte: La Repubblica
1 novembre 2010
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(AGI) – Baghdad, 1 nov. – In Iraq i cristiani sono 500-600 mila, secondo stime del 2009. Una cifra scesa di un terzo rispetto al 2003, alla caduta di Saddam Hussein, quando erano 800 mila. Comunita' antichissima, vantano una presenza che risale alla predicazione dell'apostolo Tommaso, ritenuto il fondatore della chiesa cristiana in Medio Oriente. Diversi i riti praticati dai fedeli: da quello assiro-nestoriano al siro-cattolico e siro-ortodosso. I cattolici sono circa 260 mila, il 70% dei quali caldei, ma si tratta di stime risalenti a qualche anno fa. Il 50% della popolazione cristiana vive a Baghdad, il 40% nel nord dell'Iraq, soprattutto nelle citta' di Mosul, Erbil, Dohuk e Kirkuk. Sottoposti a dure persecuzione durante il regime di Saddam Hussein, dopo la guerra del 1991 ben 150 mila cristiani iracheni emigrarono in Occidente. Un esodo che e' continuato durante l'ultimo conflitto, che ha visto molti fedeli lasciare il Paese per rifugiarsi in Giordania.