“Io, scafista della strage, so di essere responsabile, ma non è solo colpa mia”
Valerio Cataldi
In Esclusiva al Tg2, parla lo scafista del 3 ottobre “Sono responsabile, ma non l’unico”.
“Lei sa perché sono qui?”
Perché?
“Per la tragedia, la barca che è affondata…”
A Lampedusa?
“Si, ma non è solo colpa mia.”
Piange Khaled Bensalem, che ha 36 anni e che viene da Sfax, Tunisia. Lo scafista del naufragio del 3 ottobre si copre il volto con le mani ed esplode in un pianto incontrollato quando gli chiedo di raccontarmi quello che è successo quella notte di fronte la costa di Lampedusa.
Lo abbiamo incontrato quasi per caso nel carcere di Agrigento, dove lui aspetta un processo nel quale è imputato di omicidio plurimo e tratta di esseri umani e noi stavamo raccontando le condizioni del carcere. Non avevamo considerato che quel carcere oggi rinchiude molti degli oltre 200 scafisti arrestati nell’operazione Mare Nostrum.
Avevi fatto già altri viaggi?
“Si la prima volta ad aprile, la seconda ad ottobre.”
E quanti soldi ti hanno dato?
“3000 euro il primo viaggio. Il secondo, quello di ottobre, neanche un centesimo.”
E perché?
“Perché lo smuggler (il contrabbandiere che organizza i viaggi dalla Libia verso l’Europa ndr) mi ha aiutato. Mi ha fatto imbarcare gratis, io dovevo scappare dalla Libia. Avevo picchiato un poliziotto libico che non mi aveva pagato un lavoro di muratura che avevo fatto per lui. Mi stavano cercando. Quando mi hanno offerto di guidare quella barca ho accettato.”
Parla dall’angolo di una cella spoglia. Indosso una camicia con la bandiera di Cuba. Ci dice che vuole parlare con il magistrato, che vuole fare i nomi dei trafficanti di uomini che organizzano i viaggi dalla spiaggia di Zuwarah verso l’Europa. Nomi e cognomi dice, annunciando rivelazioni che è assai poco probabile possano indurre i giudici ad avere nei suoi confronti un atteggiamento di clemenza.
Gli chiedo: quanti erano a bordo?
“Non lo so. Mi avevano detto 250, ma ho trovato una barca grande, piena di gente. Dopo mezzora che ero partito, ho pensato che erano troppi, che la barca non avrebbe retto tutto quel peso. Sono tornato indietro e ho convinto lo smuggler a far scendere 26 passeggeri. Poi ci siamo rimessi in viaggio”
Dopo 24 ore di viaggio hanno visto le luci dell’isola di Lampedusa. Erano le tre del mattino. “Ho sentito il motore che non andava bene. La barca si è fermata perché l’acqua entrava nel motore.
Sono salito sopra la cabina di comando e ho visto una barca arrivare verso di noi.”
Una barca di pescatori?
“Si.”
L’hai vista bene? Come era fatta?
“Era blu.”
E avete parlato con quelle persone?
“Abbiamo gridato solo aiuto aiuto.”
E cosa hanno fatto?
“Niente. Ci hanno illuminati con le luci, hanno fatto un giro intorno la nostra barca, e sono andati via?”
È notte fonda di fronte Lampedusa. dopo pochi minuti arriva una seconda barca, racconta lo scafista. Anche questa li illumina con le luci e non risponde alla richiesta di aiuto.
E quindi?
“E quindi… Ho preso la mia maglietta, l’ho immersa nella benzina, mi sono sporto dalla barca e un altro con un accendino l’ha incendiata. Vedi ho questo segno sul braccio (mi mostra la cicatrice dell’ustione sull’avambraccio sinistro).”
Ha preso fuoco di colpo?
“Si.”
Ti sei spaventato?
“Certo.”
E si sono spaventati tutti a bordo?
“I clandestini dietro di me non erano troppi…”
Clandestini li chiami?
“Si, gli immigrati. Si sono spostati e la barca si è rovesciata.
Poi ho sentito solo le grida dei migranti…”
È stato un errore accendere quella maglietta?
“Si, ma ero fuori di testa. Ho visto l’acqua nella barca, i migranti, non so cosa mi è preso. Io dentro avrei voluto aiutarli, salvarli. Ho bruciato la mia maglietta, per farmi vedere dalle barche che erano li intorno. Ho sbagliato, lo so. La tragedia è mia responsabilità, ma perché quelle barche non ci hanno aiutato e non hanno chiamato soccorso?”
E perché non avete chiamato voi?
“Non avevamo il telefono. Quando sono partito avevo il satellitare, ma lo smuggler me lo ha tolto per punirmi quando sono tornato indietro a far scendere quelle ventisei persone.”
Ma tu sei uno scafista?
“No io sono pescatore. Che significa scafista? Che lavoro come scafista? No io sono pescatore, poi muratore.”
Ma pensavi di guadagnare soldi?
“Si la prima volta per soldi, ma la seconda per salvare la mia vita.”
E a quella barca in fondo al mare ci pensi? A tutti quei morti, 368 morti?
“Si. Lo so, è vero, io sono lo scafista. Sono responsabile di quello che è successo il 3 ottobre, ma non è solo colpa mia.”
368 morti. Un bilancio tragico di cui Khaled Bensalem dovrà rispondere in tribunale. Il processo inizia il 2 luglio.
Fonte: www.articolo21.org