Intercettazioni, è una battaglia che possiamo vincere
Roberto Natale
Poche altre volte le ragioni della categoria dei giornalisti hanno avuto la limpida coincidenza che oggi c’è fra la difesa del nostro diritto-dovere di informare e il diritto – non meno fondamentale – di un’intera comunità civile ad essere informata.
E’ una battaglia che possiamo vincere: perché poche altre volte le ragioni della categoria dei giornalisti hanno avuto la limpida coincidenza che oggi c’è fra la difesa del nostro diritto-dovere di informare e il diritto – non meno fondamentale – di un’intera comunità civile ad essere informata, a non vedersi sottratta la conoscenza dei fatti che è l’alimento di base di una opinione pubblica degna di questo nome.
L’iniziativa pubblica contro il disegno di legge Alfano che si terrà martedì 24 febbraio, dalle 10,30, nella sede della Fnsi (corso Vittorio Emanuele II, 349), è una nuova tappa della mobilitazione che il giornalismo italiano ha messo in piedi dal giugno scorso, dal primo apparire di un testo pericoloso. Ad organizzarla è un insieme di sigle che dice quanto compatto sia il mondo dell’informazione: c’è la Federazione della Stampa, c’è l’Ordine, c’è l’Unione Cronisti, e stavolta a partecipare è anche la Fieg. Cosa rara, tanto più anomala in anni nei quali giornalisti ed editori sono divisi da un rinnovo contrattuale mai prima così lungo e conflittuale. Noi giornalisti non siamo caduti nella tentazione cieca di pensare che le maximulte minacciate dal testo fossero un problema solo delle imprese chiamate a pagare. Gli editori, a loro volta, non si sono fatti affascinare dall’idea di mettere bocca nelle scelte di direttori e redazioni; anzi hanno denunciato con chiarezza che il disegno di legge stravolgerebbe il corretto funzionamento di una impresa editoriale scardinando i fondamenti dell’autonomia giornalistica. Abbiamo capito bene, giornalisti ed editori, che non soltanto possiamo e dobbiamo procedere insieme, ma che le nostre ragioni sono così forti perché coincidono con un interesse e un diritto ben più vasti dei nostri: l’interesse e il diritto di un intero Paese a non veder scomparire la cronaca giudiziaria. Questo è il punto cruciale, che abbiamo saputo cogliere e tener fermo nelle analisi, senza farci distrarre o confondere dalle modifiche che il testo del disegno di legge ha via via subìto. Il carcere per i giornalisti – presente nel testo originario, poi tolto, poi inserito di nuovo – è stato ed è uno dei temi che rischiano di provocare confusione: così enorme la minaccia, da richiamare su di sé l’attenzione e le richieste di cancellazione. Misura medievale, certo, come è stato detto. Ma se anche fosse cancellata, il nostro giudizio negativo sull’impianto del disegno di legge Alfano non verrebbe attenuato: perché rimarrebbe intatto il suo nocciolo vero e più insidioso, la secretazione per anni di vicende di assoluta rilevanza pubblica. Così come non ci siamo fatti fuorviare dai ripetuti richiami alla privacy: la riservatezza sta a cuore anche a noi, ma basta pensare al crack Parmalat per capire che questa norma impedirebbe non indebite intrusioni nella vita privata (da impedire in altro modo), ma fatti di indubbia importanza sociale.
Di questo parleremo martedì con politici di entrambi gli schieramenti, con magistrati, con avvocati, con rappresentanti delle grandi confederazioni sindacali ed esponenti dell’associazionismo dei consumatori. Abbiamo la forza di argomenti che hanno fatto breccia anche nelle discussioni di questi ultimi giorni alla Camera. L’on. Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia, ha riconosciuto che “in aula dovremmo aprire una riflessione seria sul diritto di cronaca, che è incomprimibile, e sul previsto divieto di pubblicare anche per riassunto pure gli atti investigativi non coperti da segreto fino alla conclusione delle indagini preliminari. Altrimenti la norma rischia di non essere rispettata”. Sì, il giornalismo italiano non ha alcuna intenzione di rispettare una norma che sequestra ai cittadini notizie importanti. E per questo nelle prossime, decisive settimane, farà tutto il possibile – proprio tutto – per evitare che il bavaglio divenga legge.
Roberto Natale, Presidente Fnsi
Fonte: Articolo21
20 febbraio 2009