In ricordo di “Vik”, la voce libera della pace e dei palestinesi a Gaza
Roberto Morrione
Roberto Morrione: Farò di tutto perché la tua storia, insieme con quella di tanti tuoi compagni sulle vie della pace, della giustizia, dei diritti umani e dei popoli, esca dal rumore di fondo che avvolge e stravolge chi costruisce e chi riceve le notizie, affinché, almeno in questo modo, “restiamo umani”.
Quando nel tardo pomeriggio è arrivata nelle redazioni la notizia del sequestro e l’immagine di Vittorio Arrigoni legato, bendato, ferito, minacciato di morte, per ore non c’è stato TG o GR, della Rai o privato, che non abbia genericamente parlato di un “pacifista” o di un “volontario italiano a Gaza”. Corto circuito della memoria, incapacità di trarre un suono specifico dall’indistinto rumore di fondo che omogeneizza ormai la comunicazione, l’ennesimo segnale del male diffuso quanto subdolo che caratterizza l’informazione, anche quella solitamente motivata, più attenta al contesto e al valore delle notizie.
Eppure, sarebbe bastato un clic su Internet per aprire “il mondo di Vik”, di una vita dedicata alla causa del popolo palestinese e ai diritti civili, che a Gaza sono ancora negati dallo spietato blocco israeliano a due milioni di bambini, donne, uomini, stretti in più dal potere integralista e autoritario di Hamas. Con l’associazione pacifista International Solidarity Movement Vittorio Arrigoni, “Vik per gli amici e per i tanti che ne hanno ascoltato il racconto su web radio o le cronache appassionate su “Il Manifesto” nei giorni dei bombardamenti israeliani nell’inverno 2008-2009, aveva più volte infranto il blocco navale israeliano, era stato ferito, arrestato, espulso, sempre pronto però a tornare a Gaza. In questa sua seconda patria era infatti soprattutto uno “scudo umano”, che aiutava con la presenza fisica e le sue denunce i pescatori di Gaza costretti a forzare il blocco navale per cercare il pesce di cui far vivere le proprie famiglie o i contadini a lavorare poveri orti nelle zone limitrofe ai confini, sorvegliati da truppe israeliane pronte ad aprire il fuoco. Durante la guerra e il tentativo di occupazione militare di Gaza da parte di Israele, nel dicembre 2008, Vik si era fatto giornalista, quando gli inviati da tutto il mondo erano costretti a osservare con il binocolo quanto accadeva a Gaza dall’alto di una collina, chiamata presto “del disonore”. Su “Il Manifesto” e un suo blog, ripreso anche in voce da siti e radio pacifiste, per 22 giorni andarono le sue cronache, sincere e vere, fatte di testimonianze, storie, drammi che sapevano di morte, paura, fame, crimini di guerra come l’uso di nuovi ordigni e del devastante fosforo bianco, cifre oggettive di feriti, distruzioni senza senso e limiti. Ogni suo pezzo si concludeva con un messaggio, “restiamo umani”, da cui si trasse anche un libro. Era un messaggio di speranza, ma anche la consapevolezza di quanto la disumanità, la ferocia, il cinismo della politica e degli interessi internazionali, avessero cancellato ogni valore esistenziale e civile. Per questa sua missione, Vittorio era stato più volte minacciato di morte, come da parte di un sito americano legato agli oltranzisti israeliani.
A Vittorio Arrigoni, nell’ambito della giuria del Premio Sasso Marconi, fondato da Enzo Biagi insieme a quel comune dell’Appennino bolognese, feci assegnare un premio speciale. Vik era a Gaza e inviò un bellissimo video, in cui lo si vedeva allegro sui pescherecci o con i contadini al confine con Israele, sullo sfondo i tank e le sentinelle con i cannocchiali, ben vicini gli sbuffi di sabbia dei proiettili intimidatori sparati in mezzo a donne e uomini muniti solo di cesti destinati a restare vuoti. Venne a ritirare il premio e a parlare del figlio la mamma Egidia Beretta, una donna forte e intelligente, sindaco di Bulciago in provincia di Lecco, rieletta due volte per il suo forte e limpido impegno amministrativo. Capimmo quella sera da chi e sulla base di quali valori civili avesse attinto Vittorio Arrigoni. Con lui ebbi poi un complesso scambio di mail, che culminò in una lunga intervista per “Cometa”, trimestrale di critica della comunicazione diretto da Giulietto Chiesa.
La documentazione sugli orrori dell’operazione “piombo fuso”, sulle responsabilità di Israele e internazionali, sugli errori e i soprusi autoritari di Hamas, ma soprattutto sulle sofferenze e le speranze di un popolo costretto a vivere un una sorta di lager, fu eccezionale e incontrovertibile. Come la risposta che mi diede, al termine dell’intervista, alla domanda se avesse ancora speranze sul futuro del popolo palestinese: “La speranza sta tutta nella grande umiltà e dignità con cui questo popolo affronta da più di sessant’anni il peso della sua sofferenza. Senza capitolare e consegnare all’oppressore la propria resa. Per me vivere a Gaza è una quotidiana lezione di vita”.
Ora non sappiamo e forse non sapremo mai in quali contesti e perché questi terroristi salafiti, probabilmente legati a Al Qaeda, più volte al centro di omicidi e attentati terroristici, abbiano preso di mira Vittorio e quale sia stato il ruolo di Hamas. Sappiamo però con certezza che è stato ucciso un “giusto”, un uomo generoso e limpido, che credeva in ideali veri. Come Enzo Baldoni, massacrato a Najaf nel 2004 e di cui Governo, Parlamento, mondo dell’informazione, si sono ben presto dimenticati, nonostante la sua testimonianza, breve e stroncata in breve tempo da un’inspiegabile violenza, sia una pagina alta e creativa di libertà. Prima di partire un anno fa con la “flottilla” decisa a rompere il blocco navale israeliano e poi sanguinosamente respinta, Vik mi chiese un aiuto organizzativo e di aggancio con europarlamentari, che cercai di dargli e mi promise “quando torno, ce ne andiamo in trattoria per bere in allegria e raccontarci le nostre storie…”
Non avremo più questa possibilità, Vik, ma almeno farò di tutto perchè la tua storia, insieme con quella di tanti tuoi compagni sulle vie della pace, della giustizia, dei diritti umani e dei popoli, esca dal rumore di fondo che avvolge e stravolge chi costruisce e chi riceve le notizie, affinchè, almeno in questo modo, “restiamo umani”.
Fonte: Liberainformazione
15 aprile 2011