Il Sud che arranca. Un meridionale su 3 è a rischio povertà


Bianca Di Giovanni


Il Pil del Mezzogiorno torna a 10 anni fa. L’effetto della crisi è dirompente. Una famiglia su 5 non ha i soldi per andare dal medico o per pagare il riscaldamento.


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Il Sud che arranca. Un meridionale su 3 è a rischio povertà

È la fotografia di una terra desolata, quella fornita quest’anno dal rapporto Svimez sul Mezzogiorno. La crisi globale si abbatte su un microcosmo già disperato: e la disperazione aumenta. I segnali sono quelli della povertà assoluta: c’è chi non può pagarsi il medico (una famiglia su cinque), chi non ha i soldi per il riscaldamento (la stessa quota), chi non ce la fa ad acquistare un abito nuovo (30%), chi paga in ritardo le bollette (16,7%). Si riducono gli acquisti su tutto, perfino sul cibo: 8 famiglie su 100 hanno rinunciato agli alimentari nel 2009. Quasi una famiglia su due non ha potuto sostenere una spesa imprevista di 750 euro. Sono quasi 7 milioni le persone a rischio povertà, un meridionale su tre, contro uno su dieci a Nord. Tra questi non mancano i lavoratori stabili (889mila dipendenti) e pensionati (760mila).

Ma i bilanci familiari restano ai minimi, in nuclei molto spesso (47%) monoreddito. Le donne restano a casa e non cercano neanche più lavoro «anche per fattori culturali», osserva il rapporto. Nel 12% dei casi un lavoratore ha a carico tre o più familiari, un dato quattro volte superiore a quello del Centro-Nord, Di fronte a queste rilevazioni fanno impallidire tutti gli slogan sulle gabbie salariali che spesso si diffondono nel ring della politica. Il Sud affonda in una disoccupazione endemica. Il 36% dei giovanissimi è senza lavoro. Cresce anche il numero dei disoccupati di lunga durata. Molti giovani laureati, vera linfa vitale dei sistemi economici, hanno ripreso a partire prevalentemente verso il Nord Italia. In un ventennio sono emigrati verso regioni più ricche 2 milioni e 385mila persone. Oggi, se si somma il tasso di disoccupazione a quella zona grigia che non cerca più lavoro ma che si dichiara disponibile a lavorare, il tasso arriva al 24%: un meridionale su 4. Prospettive nerissime, che si aggiungono alle ultime stime del Cnel, che per l’anno in corso prevedono in tutta Italia 350mila posti di lavoro a rischio, con possibili peggioramenti fino a 420mila.

La recessione è profonda. Da otto anni il Sud cresce meno del centronord: segno inequivocabile della frenata italiana. Il Pil nell’anno della crisi è tornato ai livelli di 10 anni fa, con un impatto su tutti i settori. Il calo del 2009 è stato del 4,5%, un valore molto più negativo del -1,5% del 2008, ma inferiore al -5,2 dell’Italia centrosettentrionale, esposta maggiormente alla crisi mondiale. In ogni caso la ricchezza pro capite resta quasi la metà di quella del resto d’Italia. Anche l’agricoltura è stata colpita dalla crisi, con un arretramento del 5%, contro il -1,9% del resto del Paese. A fare le spese maggiori della crisi , l’industria , con il crollo del valore aggiunto industriale del 15,8%, mentre la produzione manifatturiera ha segnato un calo del 16,6%. In questa situazione, denuncia Svimez, l’industria del sud è a rischio estinzione. Dal 2008 al 2009 l’industria manifatturiera del sud ha perso oltre 100mila posti di lavoro, di cui 61mila lo scorso anno. In questo modo il gap dell’industria meridionale rispetto al resto d’Italia e rispetto all’Europa è ulteriormente aumentato.

Cosa manca davvero per recuperare terreno? Il rapporto Svimez individua due cause principali dell’andamento recessivo. Investimenti che rallentano, famiglie che non consumano. Queste ultime infatti hanno ridotto la spesa del 2,6%, contro l’1,6% del Centro-Nord. Mentre gli investimenti industriali sono crollati del 9,6% nel 2009, dopo la flessione (-3,7%) del 2008. Per questo Svimez propone l’avvio di un ampio piano di investimenti per invertire la rotta. Ma sta in questo dato tutto il segno del ritardo della politica vero il Meridione. Stefano Fassina, del Pd, denuncia «la completa assenza di una strategia riformista per aggredire i nodi che da decenni soffocano le potenzialità del Mezzogiorno». Questo fatto, aggiunge il responsabile economico, «ha portato il governo a saccheggiare, anche con la manovra ora alla Camera, le risorse dedicate agli investimenti nel Mezzogiorno e a spostarle a spesa corrente e ad irresponsabili sprechi elettorali. Il Sud non è un problema territoriale, è l'espressione acuta dei fondamentali problemi dell'Italia».

Fonte: Unità

21 luglio 2010

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